di DOMENICO CACOPARDO

Italia e la deriva peronista (da cui ci hanno trattenuto solo i vincoli europei), basata sull’assistenzialismo che, tenendo conto solo dei bisogni, cancella i meriti. Una riflessione su di noi italiani, sullo stato della nostra democrazia e, soprattutto, sulle famose strategie, quotidianamente annunciate da Giorgia Meloni, mai definite in alcune semplici proposizioni di immediata percezione da parte di tutti.

estratto e sintesi da Italia Oggi

Lo Stato socialista (e quello socialdemocratico) definivano un progetto di Stato che, una volta realizzato, avrebbe costituito il Paradiso in terra per i lavoratori e, per li rami, per i cittadini. Da un certo punto di vista, l’interprete non sovietico di un sistema del genere, fu Juan Domingo Peron l’uomo che ha disastrato l’Argentina.

Basta pensare agli irresponsabili dell’M5s. E’ infatti andata al potere della gente che non aveva mai lavorato in un organismo presente nel mercato e quindi era inconsapevole  del rapporto inscindibile tra lavoro (e suoi effetti) e retribuzione. Arrivarono al punto di finanziare i fannulloni perché rimanessero tali.

L’alternativa all’assistenzialismo sciupone si chiama liberalismo. Con esso, in economia, comanda il mercato, il luogo cioè in cui si confrontano le capacità creative di ognuno e si retribuiscono proporzionalmente meriti e demeriti; nel sociale comanda la responsabilità individuale e quindi la partecipazione della gente_

Premessa, noi veniamo da (1946-1994) 48 anni di prima Repubblica, nella quale Democrazia cristiana e Partito comunista, accomunati da una visione assistenzialistica dello Stato, ma divisi (almeno sino agli anniOttante) sulle alleanze internazionali, nelle quali giustamente fummo alleati degli Usa e componenti (non secondari: per strategica posizione geografica) dell’Alleanza atlantica, egemonizzarono la vita politica nazionale, sino a quando Bettino Craxi inaugurò la politica di autonomia socialista, mettendo in discussione le altrui primazie.

In sostanza, l’«autonomia socialista» si sostanziò in due scelte cruciali: le «mani libere» delle alleanze che comportarono accordi a sinistra e di centro-sinistra secondo convenienza, talché il Psi fu quasi sempre al governo del Paese con la Dc e con il pentapartito (oltre a Dc e Psi, Pli, Pri, Socialdemocratici) e al governo di regioni e comuni o con la stessa coalizione nazionale o sue articolazioni o con il Pci.

La seconda scelta sostanziale, che farà storcere la bocca ai lettori di tradizione post-berlingueriana, si realizzò con l’indipendenza economica del Psi.

Sino alla fine degli anni ’70, Dc e Pci erano i percettori delle tangenti provenienti dal mondo economico nazionale e internazionale (soprattutto il Pci dai paesi dell’Est mediante gabelle partitiche sugli scambi commerciali). Protagonisti privati imprenditori, partecipazioni statali, cooperative.

Dagli inizi degli anni ’80, mediante l’esercizio del potere di governo e del peso in esso esercitato, il Psi divenne un interlocutore diretto del mondo economico. È facile immaginare quanto rancore crescente si accumulasse in via delle Botteghe Oscure (sede del Pci) per questa anomala dipendenza e quanto questa situazione abbia pesato sull’evoluzione giudiziaria della Repubblica e sull’azzeramento della nomenklatura dei partiti -a parte quella del Pci-.

Quanto di questo pezzo di storia sia travasato nella seconda Repubblica è facile dirlo: tutta la visione assistenzialistica dello Stato è rimasta in piedi, anzi si è acuita con la crescita di peso degli ex comunisti specialmente dopo la loro unione con la frazione ex democristiana detta «sinistra di base» o sinistra economica per i rapporti privilegiati con le partecipazioni statali e in particolare con il patron dell’Eni Enrico Mattei che insieme a Giovanni Marcora(grande personaggio, grande ministro, grande ospite rinascimentale) ne risultavano i fondatori.

Lo scasso delle finanze pubbliche iniziato negli anni ’70 è tutto dovuto a questo assistenzialismo cui fra gli altri s’era inchinato Giovanni Agnelli che, da presidente della Confindustria, firmò l’accordo con il sindacato sul punto unico di contingenza che, in sostanza, equiparò le retribuzioni degli operai delle obsolete e sussidiate fabbriche del Sud e quelle degli operai delle efficienti e modernissime fabbriche del Nord.

 E veniamo al punto. Lo enuncerò brevemente, avendo occupato, con le premesse, gran parte dello spazio disponibile. I presupposti ideologici dello Stato assistenziale sono almeno simili a quelli dello Stato socialista e socialdemocratico. Lo Stato socialista (e quello socialdemocratico) definivano un progetto di Stato che, una volta realizzato, avrebbe costituito il Paradiso in terra per i lavoratori e, per li rami, per i cittadini.

Da un certo punto di vista, l’interprete non sovietico di un sistema del genere, fu Juan Domingo Peron l’uomo che ha disastrato l’Argentina e gran parte del continente Sudamericano. Infatti, col giustizialismo, non ci fu nessun equilibrio tra retribuzioni dirette e indirette, e produzione pro-capite. Le retribuzioni vennero scollegate dai risultati ottenuti, facendo sì che lo Stato fosse il grande dispensatore di giustizia sociale.

Bastano queste poche parole per pensare agli irresponsabili del Movimento 5 Stelle e ai disastri che hanno procurato al «Sistema Italia». Del resto, i ruoli di leadership attribuiti a gente che non aveva mai lavorato in un organismo presente nel mercato, determinava la totale inconsapevolezza dei dirigenti grillini del rapporto inscindibile tra lavoro (e suoi effetti) e retribuzione. Arrivarono al punto di finanziare i fannulloni perché rimanessero tali.

Per il resto, dobbiamo riconoscere a posteriori che è stata l’Europa ad arginare la deriva devastante che avrebbe travolto l’Italia. L’Europa e due italiani, Guido Carli e Gianni De Michelis che, a Maastricht, firmarono l’accordo per la moneta unica e per i limiti di deficit e di indebitamento, ricorrendo in piena consapevolezza e responsabilità (di cui fui con altri testimone9 al vincolo esterno per impedire il disastro italiano.

Questo dell’assistenzialismo, peraltro, è un vizio persistente della politica italiana che ha colpito anche la destra e la destra di governo che con esso si trova a fare i conti anche oggi.

L’unica alternativa etica, politica, economica, sociale si chiama liberalismo. Con esso, in economia comanda il mercato, il luogo cioè in cui si confrontano le capacità creative di ognuno e di ogni organizzazione umana e si retribuiscono proporzionalmente meriti e demeriti; nel sociale comanda la responsabilità individuale e quindi la partecipazione attiva e passiva di ognuno agli eventi della vita della comunità. Ed è qui che è insediata la responsabilità fiscale, concetto etico ed economico, che purtroppo non entra nella testa della politica italiana, nemmeno in quella, aperta e intelligente di Giorgia Meloni che ha definito la tassazione «uno scippo di Stato.»

 Il liberalismo è la concezione più progressiva che ci sia per la civiltà del 21mo secolo, la via per rendere gli individui moralmente liberi in antitesi a tutti coloro che nel mondo non lo sono essendo stati ridotti in schiavitù da stati illiberali governati da dittatori.  Strettamente connessa a questa libertà è la non-dipendenza da manipolatori e falsari, tanto che sarebbe irrinviabile l’istituzione di un soggetto certificatore delle informazioni.

Non una limitazione della libertà di parola. Figuriamoci. Ma un’informazione indipendente fondata su dati di fatto e risultanze scientifiche consultabile liberamente da tutti coloro che volessero farsi un’idea non condizionata dall’informazione di parte. Utopie. Mentre, per ora, dobbiamo confrontarci sul Mes e su tutti gli interessi di parte che ne contrastano l’approvazione.