di BRUNO TUCCI
Che tempo che fa in via Bellerio, nella sede della Lega a Milano? Pioviggina, ma i meteorologi del Carroccio non si pronunciano. Sono incerti: può darsi che, come nel mese di marzo, dopo l’acqua torni improvvisamente a splendere il sole. Si dovrà attendere, ci vuole pazienza. Fuor di metafora, non si respira un’aria tranquilla perché il flop del voto in Sardegna qualche strascico lo ha lasciato, nonostante nessuno parli di crisi.
Nell’occhio del ciclone è finito Matteo Salvini? Certo è lui il numero uno del partito ed a lui si rivolgono gli strali di coloro che vorrebbero tornare al passato, ai tempi della Lega di Umberto Bossi. Il vice premier tira diritto, continua a difendere le sue idee e i suoi convincimenti e va avanti senza il minimo dubbio. Gli antagonisti lo aspettano al varco perché se anche in Abruzzo le cose non andassero bene……Insomma, un po’ di maretta non la si può negare.
Marco Zanni e Paolo Grimoldi sono i primi protagonisti di una “rivolta” che in via Bellerio negano in maniera assoluta. “Sono soltanto voci che mettono in giro i nostri avversari che non gradiscono le critiche”, sostengono i fedelissimi della segreteria.
L’interrogativo è quello di sempre: quali sono gli obiettivi di Matteo e dove vuole arrivare? E’ una domanda che si pone pure la maggioranza perché è ora di finirla con il fuoco amico se non si vuole sfasciare tutto. Oltre che ministro delle infrastrutture, Salvini è anche uno dei due vice della Meloni. Vale a dire, uno dei suoi più stretti collaboratori. Allora per quale ragione un giorno si ed un altro pure spara palle avvelenate contro la premier? Attenzione, non direttamente contro Giorgia, ma contro certe scelte o titubanze dell’esecutivo.
I maligni sostengono che Matteo muoia d’invidia, perché sulla sedia di Palazzo Chigi vorrebbe esserci lui. Lo si può comprendere da un punto di vista umano perché la Lega con lui aveva raggiunto il 38 per cento dei consensi. Poi, con il Papete, qualcosa si è sfasciato ed è iniziato il declino. Oggi, la differenza fra i due partiti, cioè fra i Fratelli d’Italia e la Lega, è talmente grande che non si può pensare di capovolgere la situazione in favore del Carroccio.
Giorgia Meloni è gradita alla maggioranza degli italiani ed è impensabile che possa perdere la partita. E’ tutto qui il nocciolo del problema: Salvini se ne deve fare una ragione e cambiare musica, altrimenti danneggia non solo il governo di cui fa parte, ma anche a se stesso. Che cosa succederebbe infatti se dopo la Sardegna anche l’Abruzzo voltasse le spalle al centro destra? Gli appetiti della sinistra aumenterebbero anche in Piemonte, Umbria e Basilicata dove si voterà in aprile e giugno.
Non è davvero un periodo d’oro per il leader della Lega. Qualcuno vorrebbe sfilargli la sedia e, con la sconfitta sul terzo mandato, i pericoli aumentano: ad esempio con il nome di Luca Zaia, il quale non potrà più essere il governatore del Veneto. Il presidente ha un buon seguito e non sono pochi coloro che lo vorrebbero alla guida del partito.
Quindi, proprio per questa infinita serie di ragioni, il ritornello dovrà cambiare se non si vuole perdere lo scettro della maggioranza. In Sardegna, la triade ha perso non solo perché è stato scelto (dalla Meloni) un candidato sbagliato, ma anche perché la gente non ne può più di assistere a liti, discussioni e litigi che non risolvono i grandi problemi che assillano il nostro Paese. Possibile che la lezione delle ultime elezioni regionali non abbiano insegnato nulla alla premier ed ai suoi due vice?
A dire il vero, Antonio Tajani è stato molto corretto e sia pure se qualche volta la pensava in maniera differente da Giorgia Meloni, non gettava benzina sul fuoco. Anzi, il contrario: cercava di placare gli animi e di spegnere qualsiasi contrasto.
In parole semplici: se Salvini continuerà a comportarsi come ha fatto nel periodo precedente al voto in Sardegna potrà far saltare il banco ed insieme anche la sua voglia di diventare il primo della classe. Perderà non solo la sua doppia carica che ha nell’attuale esecutivo, ma forse pure la segreteria della Lega, perché ad una seconda sconfitta una parte del Carroccio vorrà farlo fuori. E’ una lezione semplice, difficile non comprenderla.