di BRUNO TUCCI
Giornalisti in tv e par condicio. L’onorevole Maria Elena Boschi, già ministroe sottosegretario alla presidenza del Consiglio (con i governi guidati da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni) fa una proposta che piacerà a tutti i politici di qualsiasi colore essi siano: “I giornalisti – ritiene – quando partecipano ai talk show che si tengono in tv siano soggetti alle regole della par condicio”. Ottima iniziativa che avrà certamente il plauso degli inquilini di Montecitorio e di Palazzo Madama. In tal modo, essi sarebbero liberi di straparlare senza il timore di essere sbugiardati in diretta.
Magari, con gli inciuci che essi conoscono bene, mettersi d’accordo prima della trasmissione. Io dico una cosa, tu ne dici un’altra portando l’acqua al nostro mulino in maniera pacata tanto da meritare il plauso unanime degli spettatori.
Giornalisti in tv, Maria Elena Boschi, vuole la par condicio
E’ più che una speranza per i parlamentari: pensate che bello sarebbe (per loro) non subire critiche e smentite da parte di chi ha il dovere di fare il cane da guardia, che è il compito dei giornalisti. E’ un vecchio desiderio, come quello di abolire l’Ordine professionale, un organismo anacronistico con i tempi che corrono. E’ giusto, ma a chi spetta cambiare una legge datata 1963? Da allora molte cose sono cambiate, la professione ha un orizzonte diverso. D’accordo, ed allora perché non prendere una iniziativa concreta che porti ad una vera e propria riforma?
La verità è che i nostri politici sono indietro anni luce rispetto al resto del mondo. Negli Usa Biden e Trump combattono a colpi di Tik Tok e influencer, da noi l’obbiettivo di onorevoli e senatori è un regolamento di conti: cancellare, spazzare via l’Ordine in modo da poter fare il bello e il cattivo tempo. Ad esempio, arruolare nel giornalismo persone che non hanno nessuna dimestichezza con l’informazione, ma che “ubbidiscano” senza discutere alle proposte di chi gli ha trovato un lavoro.
I politici non amano i giornalisti
Così, tutte le regole di oggi verrebbero abolite: il praticantato obbligatorio (cioè il giusto tirocinio), un esame di idoneità dopo diciotto mesi per verificare se il giovane sia maturo e adatto per fare informazione. In più, nessuno sbarramento per chi vuole diventare pubblicista. Ora, la legge stabilisce che il pubblicista, appunto, presenti un certo numero di articoli firmati e riconosciuti dal direttore della testata per cui scrive. Si era instaurato qualche anno fa anche un ulteriore colloquio con il candidato per controllare il suo stato di cultura. Idea che venne abbandonata perché le raccomandazioni sarebbero finite tutte in un cassetto.
Ecco allora perché il suggerimento di Maria Elena Boschi troverebbe ampio consenso nei Palazzi.
Ora, è nostro compito fare le pulci all’amata professione. Da quando è iniziata e triplicata l’èra dei talk show, c’è la corsa ad accappararsi un posto come conduttore di un programma. La televisione rende famosi, soltanto pochi minuti di apparizione nel piccolo schermo vogliono dire notorietà.
Racconto un brevissino episodio personale. Facevo già il giornalista e l’inviato da almeno vent’anni nel giornale più diffuso della Capitale (Il Messaggero). Ebbene fui mandato dalla direzione a seguire (con articoli cosiddetti di contorno) un campionato del mondo di calcio in Messico. Mi invitarono ad una trasmisssione che allora andava per la maggiore e comparvi in tv non più di due minuti. Ebbene, quell’estate passai le vacanze come sempre al mio paese in provincia di Cosenza e molti fermandomi, mi chiesero: “Abbiamo visto che voi fate il giornalista”. Potenza del piccolo schermo!
E’ umano quindi concorrere per ottenere un posto come conduttore di un talk show politico. Ed è qui che tutti noi giornalisti dovremmo recitare il mea culpa. Conduttore non vuol significare essere un protagonista, ma un moderatore che abbia l’accortezza di far parlare ugualmente i partecipanti. Invece (accetto smentite) avviene l’esatto contrario: il giormalista diventa il vero protagonista del programma e spesso e volentieri dimentica il principio sacrosanto della terzietà: quello di essere imparzali e non prendere iniziative che possano far pendere la bilancia da una o dall’altra parte.