di GIANLUCA PACE

A meno di un mese alle elezioni Europee per ora, nel dibattito pubblico italiano, si è parlato più o meno del nulla. Niente di niente.

I temi che fin qui si sono più rincorsi, in ordine sparso, sono stati: la candidatura di Roberto Vannacci con la sua inevitabile coda di polemiche, Giorgia Meloni che vuole farsi votare come “Giorgia”, le solite inchieste che continuano a mettere in luce lo stato tragicomico della politica italiana, la diatriba sui capilista e poco altro. Ecco, a meno da un mese dalle elezioni Europee, sono stati questi, fin qui, i temi toccati.

Russia? Diseguaglianze sempre più accentuate? Debito pubblico? Politiche economiche europee? Difesa comune? Maggiore integrazione tra Stati? Come gestire al meglio il flusso dei migranti? Come gestire al meglio i fondi? No, niente di tutto questo. In Italia, al massimo, parliamo di Vannacci. D’altronde, ammettiamolo, la stragrande maggioranza di chi andrà a votare nulla sa e nulla vuole sapere di come funzionano le Istituzioni europee. Sempre se qualcuno andrà a votare. Già, perché a giugno, tra una vacanza e l’altra, c’è il forte rischio che per la prima volta andrà a votare meno del cinquanta per cento della popolazione. Nel 1979, quando si tennero le prime elezioni Europee, votò l’85,7 per cento degli aventi diritto. Nel 1984 l’82,5 per cento, nel 1989 l’81,1 per cento. nel 1994 il 73,6 e, saltando qualche turno, nel 2019, l’ultima volta, il 54,5%. Una domanda: ma secondo voi questi numeri sono casuali o c’entra, forse forse, lo stato pietoso della politica e dell’Italia tutta?