Nel corso di questa legislatura ho più volte sollecitato questo governo – con le mie interrogazioni e i miei interventi in Parlamento – a tutelare con maggiore attenzione i nostri connazionali all’estero e a modificare le norme introdotte che penalizzano in maniera ingiusta e inaccettabile i loro diritti. Questo Governo ha quasi sempre evitato di rispondere mostrando scarsa sensibilità e soprattutto mancanza di rispetto per le nostre comunità all’estero che si sentono ignorate e vessate.
Innanzitutto ho chiesto al Governo di ripristinare le detrazioni e gli assegni familiari (ANF) per i figli a carico di età inferiore ai 21 anni a favore dei contribuenti italiani “non residenti Schumacker” (cioè coloro - lavoratori e pensionati - i quali anche se residenti all’estero producono almeno il 75% del loro reddito in Italia) che sono stati revocati e cancellati nel 2022 con l’introduzione dell’Assegno unico universale, o prevedere in alternativa che l’Assegno Unico sia concesso anche a tali contribuenti che non sono tuttavia percettori di analoghe prestazioni all’estero.
Ho chiesto chiarimenti al Governo sui motivi per cui è stato deciso di non concedere l’Assegno unico per figli a carico ai lavoratori residenti in Italia ma con nucleo familiare residente all’estero, come se la residenza all’estero dei figli a carico fosse un motivo sufficiente per negare un elementare diritto introdotto dalla legge nazionale. Credo infatti che sia utile ricordare che persino la Commissione europea ha avviato alcune procedure di infrazione contro l’Italia e ha minacciato il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia europea contestando all’Italia il ricorso al vincolo della residenza in Italia per negare diritti sociali che la Comunità europea ha sempre ritenuto – nel suo ordinamento e nelle sentenze della Corte di giustizia – esportabili nell’ambito comunitario (si ricorderà, ad esempio, che l’Assegno di inclusione è stato subordinato al requisito di 5 anni di residenza in Italia di cui due immediatamente precedenti la presentazione della domanda, requisito quest’ultimo ovviamente non perfezionabile dagli emigrati italiani che rientrano in Italia permanentemente).
Inoltre, ho più volte interrogato questo Governo in merito alla urgente necessità di completare il quadro delle convenzioni internazionali di sicurezza sociale a tutela dei diritti socio-previdenziali e sanitari dei nostri connazionali residenti in Cile, Perù, Ecuador e Colombia che da anni attendono inutilmente (e sono consapevole che i ritardi sono da imputare anche ai Governi precedenti) la possibilità di totalizzare i contributi versati e poter ottenere una prestazione pensionistica, e il rinnovo di accordi datati e inefficaci come quello con il Brasile.
È frustrante e demoralizzante dover invece constatare che le nostre legittime e giuste richieste non siano affatto considerate dal Governo che non trova né il tempo né l’interesse, né ritiene sia doveroso di dare una opportuna risposta al mondo dell’emigrazione.