di GIAMPIERO MARTINOTTI

Sbarco in Normandia? Non è solo un rito ormai stanco quello che si celebra ogni dieci anni sulle spiagge normanne. Ricordare il D-Day nasconde un filo rosso in cui s’intrecciano memoria e problemi contemporanei. Vetrina dell’Occidente euro-atlantico, le celebrazioni del 6 giugno 1944 hanno significati diversi a seconda dei decenni e la loro storia è ricca di insegnamenti.

Per quasi quarant’anni sono stati addirittura sdegnati. Quella ricorrenza faceva venire l’orticaria al generale de Gaulle, capo del governo provvisorio in esilio a Londra durante la guerra: all’epoca, gli alleati anglo-americani lo avevano tenuto all’oscuro dei preparativi di quella battaglia, decisiva per l’esito della Seconda guerra mondiale. Valéry Giscard d’Estaing, nel 1974, mostrò altrettanta indifferenza: spedì in Normandia il ministro del Commercio estero e un colonnello che incontrarono un generale statunitense.

Fu François Mitterrand, nel 1984, a trasformare le commemorazioni in un avvenimento mediatico e politico. Uomo con il senso della storia e il gusto per le manovre politiche, il presidente francese era arrivato al potere tre anni prima con gli alleati comunisti ed era guardato con sospetto a Washington e Londra, dove imperavano Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Mitterrand aveva tuttavia dato prova della sua fedeltà all’Occidente: nell’82 aveva difeso la scelta di dispiegare in Germania i nuovi missili americani per fronteggiare il riarmo sovietico, nonostante la sinistra tedesca avesse manifestato in massa contro quella scelta («meglio rossi che morti» era lo slogan predominante).

Nell’83, con la decisione di non abbandonare il Sistema monetario europeo, aveva chiuso con le chimere economiche e nel luglio ‘84 avrebbe messo alla porta i ministri comunisti. Per dimostrare il suo ruolo di leader euro-atlantico, invita sulle spiagge normanne Reagan e la regina Elisabetta. Si ricorda così a Mosca che i tre detentori occidentali dell’arma atomica sono legati dalla storia e dalle minacce contemporanee.

Le cose si fanno più complicate dieci anni dopo. Il muro di Berlino è crollato il 9 novembre 1989, la Germania si è unificata undici mesi dopo non senza tentennamenti da parte dei suoi alleati. Per farlo, il cancelliere tedesco, Helmut Kohl, ha sacrificato il marco, aprendo la strada alla creazione dell’euro. Ma le celebrazioni del 1994 scatenano le polemiche: bisogna invitare la Germania, il paese sconfitto, responsabile della guerra e dell’Olocausto? Mitterrand sembra contrario. Esita.

Le trattative dietro le quinte vanno avanti mentre la polemica pubblica si anima. Alla fine è Kohl a togliere il disturbo: dice di aver scelto di non andare per non partecipare a una cerimonia in cui si celebra la disfatta del suo paese. Ciò nonostante, su quel 6 giugno 1994 plana comunque un certo malessere. Mitterrand aveva preso per mano Kohl a Verdun: secondo molti commentatori, la tragedia della Prima guerra mondiale era stata perdonata, quella della Secondo non ancora. La Germania democratica, irreprensibile per tutto il dopoguerra, era stata umiliata.

Cambia tutto nel 2004. Da quando Jacques Chirac è arrivato all’Eliseo, nel maggio 1995, i rapporti franco-tedeschi e quelli europei sono spesso rissosi. I costi della riunificazione tedesca, che vengono in parte riversati su tutta l’Ue, e la complicata creazione dell’euro hanno alimentato i contrasti. Chirac e il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder approfittano della storia e delle celebrazioni in Normandia per voltare pagina. «Sappiamo chi sono gli autori criminali della guerra. Siamo coscienti della nostra responsabilità di fronte alla Storia», dice Schroeder.

Chirac si rivolge al cancelliere con l’enfasi delle grandi occasioni: «In questo giorno del ricordo e della speranza, le francesi e i francesi la accolgono più che mai come un amico. La accolgono come un fratello». La lunga marcia della riappacificazione trova un nuovo simbolo sulla costa normanna.

Nel 2014, infine, le cose si complicano di nuovo. Durante i primi preparativi, tutto sembrava filare liscio e per la prima volta anche il presidente italiano, Giorgio Napolitano, viene invitato. Ma la vera sorpresa sta altrove : François Hollande, con l’accordo degli altri occidentali, invita Vladimir Putin. Normale, visto che senza la strenua tenuta dell’Unione Sovietica gli anglo-americani non avrebbero potuto sconfiggere la Germania nazista. Ma il presidente russo diventa un ospite ingombrante: tre mesi prima delle celebrazioni, Putin ha invaso la Crimea e l’ha annessa. E’ l’inizio del percorso che porterà, nel 2022, alla guerra in Ucraina.

Hollande e Angela Merkel approfittano delle commemorazioni normanne per avviare un negoziato politico con Mosca e Kiev. Una trattativa che non ha mai portato a una soluzione pacifica. Per le celebrazioni degli 80 anni dallo sbarco in Normandia, i leader occidentali, fra cui Sergio Mattarella, si ritrovano con un quadro mondiale scombussolato: la guerra in Ucraina, quella nella striscia di Gaza, le ambizioni della Cina. Il mondo pacifico più volte sognato è ancora un’utopia. La storia e l’attualità continuano a intrecciarsi sulla costa normanna.