Giovanni Toti

di FRANCO MANZITTI

E ora il destino immediato di Giovanni Toti,giunto al quarantacinquesimo giorno di detenzione preventiva agli arresti domiciliari, è nelle mani del Tribunale del Riesame. Questo organo esaminerà la richiesta sua e del suo avvocato Stefano Savi di cancellare la decisione della Gip (Giudice Indagini Preliminari) di Genova, Paola Faggioni, che dieci giorni fa ha negato la libertà.

Così siamo al capitolo quarto di una vicenda che vale molto di più del “solito” processo ai politici amministratori e imprenditori, accusati di scambiarsi favori, commettendo i reati di corruzione, concussione, eccetera.

L’arresto del presidente ligure e dei suoi coimputati con un blitz improvviso della Guardia di Finanza, il suo interrogatorio fiume davanti ai procuratori che avevano ordinato l’arresto ai domiciliari, la richiesta al Gip e ora al Tribunale del Riesame, la cui decisione è molto più pesante perché entra profondamente nel quadro accusatorio e nella difesa dell’imputato e decide in un senso o nell’altro.

Ma lasciando una traccia profonda nel processo, soprattutto nel suo seguito, che la Procura vuole accelerare e che l’imputato vuole affrontare in una situazione di libertà personale, consona al suo importante e decisivo ruolo pubblico.

In ogni caso la vicenda di Toti e dei suoi compagni di disavventura ancora tutti “ristretti” con diverse modulazioni, dall’ex presidente del porto Paolo Emilio Signorini in carcere a Marassi, all’imprenditore Aldo Spinelli, 84 anni, ai domiciliari, a suo figlio Roberto, interdetto alla professione e anche alle visite nella casa del padre, a Mauro Vianello, amministratore delegato di Ente Bacini, anche lui interdetto nella sua attività lavorativa, a Andrea Cozzani, capogabinetto in Regione, ai domiciliari, pesa ben oltre il destino personale degli imputati e degli indagati.

Il quadro accusatorio di corruzione, voti di scambio in odore di mafia con il clan dei riesini di Genova, abusi di ufficio, in questi quarantacinque giorni di interrogatori e indagini sembra essersi dettagliato e non ingigantito.

Molti testimoni ascoltati come persone informate dei fatti, in primis l’uomo più importante a Genova oggi, il comandante GianLuigi Aponte, grande armatore e business man mondiale, hanno probabilmente chiarito molti passaggi di quel quadro accusatorio, che nella sostanza è di avere “corrotto” per ottenere in cambio le tanto preziose concessioni portuali, ed altri vantaggi.

Come la costruzione dei supermercati Esselunga e terreni per le discariche a Savona e spiaggie sulla costa per resort di lusso, elargendo somme di denaro e altri benefici quasi tutti “tracciati”, soprattutto nei bilanci di Toti e del suo movimento politico.

Ma la “pistola fumante”, l’accusa-principe, che inchioderebbe il sistema Toti alle sue responsabilità, non è apparsa. O i magistrati, che indagano da quattro anni su questi fatti, l’hanno tenuta segreta, oppure non c’è e quello che pesa è il resto del quadro, arricchito giorno per giorno da dettagli che lo perfezionano.

Ma Giovanni Toti, a differenza di molti altri pubblici amministratori accusati, arrestati, comunque messi sotto processo per reati di questo tipo, non si è dimesso dalla sua importante carica di presidente della Regione.

E non ha mai mostrato di camminare in quelle direzione, addirittura chiedendo ai giudici di incontrare agli arresti i suoi assessori e altri uomini politici con incarichi di rilievo. Con lo scopo di occuparsi del suo ruolo paralizzato dalla detenzione, ma giustificato dall’elezione dei cittadini che lo scelsero come presidente di una Regione attualmente condizionata e danneggiata dal suo stato di detenuto ai domiciliari.

Insomma la partita non è solo se Toti sia colpevole o innocente, tema che verrà deciso da processi misurabili nei diversi gradi di giudizio e, nell’ipotesi migliore per lui di riti più veloci o di istruttorie molto favorevoli, comunque in anni e anni.

Ma la partita è anche se il peso delle accuse giustifica una carcerazione preventiva così lunga, tale da porre problemi istituzionali mai visti nella lunga vicenda italiana, a partire dalla Tangentopoli degli anni Novanta, durante la quale un problema simile non era neppure proponibile.

Accusato, imputato subito dimesso. Pensiamo al caso di Claudio Burlando, arrestato da sindaco, dimessosi immediatamente con lettera istantanea, detenuto per quattordici giorni, poi assolto in istruttoria e perfino risarcito per l’ingiusta detenzione, tanto da essere poi addirittura scelto dal suo partito come ministro dei Trasporti nel primo governo Prodi.

Qui stiamo galleggiando in una situazione molto diversa, partita da una indagine “lontana”, che si è avvicinata ai fatti genovesi tra la Regione, il porto e l’imprenditore Spinelli con quattro anni, dicasi quattro, di raccolta di prove e infine un botto improvviso.

Se hanno indagato tanto e costruito un quadro di accuse tale da provocare il blitz contro il presidente della Regione, l’ex presidente del porto, uno degli imprenditori portuali più importanti e altri imputati coinvolti in gradazioni diverse nell’ affaire, è giusto che ora i provvedimenti siano così pesanti, pensa una parte degli osservatori e dell’opinione pubblica.

Un’altra parte, invece, si indigna, misura il peso delle accuse, conta con attenzione la quantità del prezzo delle ipotetiche corruzioni, non più di qualche decina di migliaia di euro, e conclude giudicando spropositate le mosse dell’accusa, preconizzando un caso che si sgonfia e la già certa assoluzione, non si sa in quale grado di giudizio: da subito in istruttoria o fra cinque, sei anni col giudizio in Cassazione.

Così si schierano politicamente l’opposizione politica a Toti e al suo governo, “caricando” sulle accuse il presunto disastro della sua gestione ligure, il crak della sanità, il gioco della immagine vincente della Liguria, dove fervono grandi opere e grandi prospettive di sviluppo.

E si schiera la maggioranza totiana, che va dalla presidenza del Consiglio ai suoi fedelissimi della giunta e del suo movimento “Noi moderati”, che denuncia il colpo gravissimo alla Liguria, al suo sviluppo, alle grandi opere “stoppate” dall’inchiesta e segnala la paralisi di tutto.

Aspettando ora il responso del Tribunale del Riesame da questo quadro non si esce. Le ultime mosse di Toti e della sua difesa di mettere nella richiesta di libertà anche i “buoni proponimenti” di non chiedere più finanziamenti ai privati per non creare equivoci, ammettendo che la sua condotta in questo senso può avere alimentato le accuse, fa parte di quel quadro.

Essendo l’imputato convinto della sua innocenza e del fatto che la sua condotta così “tracciabile” economicamente fosse parte della sua azione di amministratore e valutando, invece, i giudici che quegli atteggiamenti siano reati belli e buoni, la mossa di Toti è chiaramente una captatio benevolentiae.

E una mezza ammissione di avere sbagliato qualcosa nella sua travolgente condotta di amministratore, deciso a spingere tutto in avanti, comprese le decisioni portuali delle quali era competente solo indirettamente in un quadro politico amministrativo molto più generale.