di MARCO BENEDETTO

Premierato, cioè elezione diretta del primo ministro, un sondaggiocommissionato dal Quotidiano nazionale a Piepoli dice che solo un quarto degli italiani è molto d’accordo, un altro 36% lo è abbastanza, gli altri o sono contrari o ignorano il tema.

Intanto in Italia le voci contrarie sono sempre più forti e vengono anche dal campo della destra, al punto che la stessa Meloni, dopo avere definito il premierato la Madre di tutte le riforme (definizione da usare con cautela, visto che chi la applicò, con la Madre d tutte le battaglie, Saddam Hussein, finì impiccato), ha già cominciato a smarcarsi: “Se la riforma non passa’? Ma chi se ne importa! Se la riforma non passa vorrà dire che gli italiani non l`avranno condivisa ma da da questo a dire che se perdo il referendum mi dimetto forse non ci stiamo capendo: io arrivo alla fine dei miei cinque anni”.

L’idea di una stabilità diGoverno maggiore di quella attuale domina la politica italiana fin da subito dopo la promulgazione della Costituzione, ma nessuno fu in grado di individuare un modello che andasse bene e una legge elettorale che funzionasse.

Sempre il partito di maggioranza relativa dei primi 40 anni di repubblica, l Democrazia Cristiana, fu costretta a coalizioni con partitini da meno del 10% per fare Governi che mai duravano più di un anno.

Il referendum Segni, in parte svuotato per colpa degl interessi dei partiti, portò alle coalizioni: il Polo della libertà di Berlusconi e l’Ulivo di Prodi. Ma sempre di coalizioni si trattava e si tratta, con ciascun partito della coalizione impegnato a prevalere e a sgambettare gli altri.

Matteo Salvini, nelle sue varie evouzioni governative, ha dimostrato di cosa si può essere capaci.

Da questo probabilmente Giorgia Meloni ha tratto spunto per la sua idea di premierato. Non tanto per dominare sull’opposizione, che già per definizione è minoranza. Ma per mettere fuori gioco i suoi partner di Governo.

Nel mondo occidentale, possiamo prendere a riferimento quattro modalità di scelta di Governo: quello tedesco è il più simile al nostro, impone una soglia di voti abbastanza alta per entrare il Parlamento, ma alla fine impone la ricerca di alleanze con quel che ne consegue.

Poi c’è il modello francese, voluto da Charles De Gaulle negli anni ’60, ha funzionato nel senso che il presidente della Repubblica, eletto direttamente, resta al palazzo dell’Eliseo per tutto il mandato, ma questo non sempre ha garantito omogeneità di posizioni fra presidente e primo ministro. Stiamo probabilmente per entrare in una di queste fasi con le imminenti elezioni.

In Inghilterra hanno il re, quindi è inutile elaborare. Poi ci sono gli Stati Uniti d’America, il cui sistema è lontano dalla perfezione ma che garantisce una innegabile stabilità. Il modello cui si ispirarono i padri fondatori era quello inglese, solo che al posto del re misero un presidente che resta in carica 4 anni. Ogni 4 anni, ai primi di novembre, ci sono le elezioni presidenziali.

A contrastare il presidente ci sono Camera e Senato, con ruoli diversi, non duplicati come da noi e in totale autonomia di formazione e spesso di opposizione rispetto al presidente.

In Italia già abbiamo due esempi di elezione diretta, quella dei sindaci e quella dei presidenti di regione.

Perché, allora, tanta agitazione se si vuole fare eleggere dai cittadini anche il  presidente del Consiglio?

Per la semplice ragione che viene eletto direttamente non il numero uno, il presidente della Repubblica, ma il numero due, il presidente del Consiglio. È contro natura, è come se in una famiglia non i figli derivassero dai genitori ma direttamente da una autorità terza. Infatti, quando è così è il caos.