di FABIO PORTA

Era scontato. Come avevo previsto e denunciato nelle mie numerose interrogazioni la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia europea per aver violato il diritto comunitario con la normativa sull’Assegno unico e universale.
La Commissione ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori mobili di altri Stati membri dell'UE in relazione alle prestazioni familiari loro concesse, comportamento che costituisce una discriminazione e viola il diritto dell'UE in materia di coordinamento della sicurezza sociale ( Regolamento (CE) n. 883/2004 ) e di libera circolazione dei lavoratori ( Regolamento (UE) n. 492/2011 e  articolo 45 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea ).
Nel marzo 2022 l'Italia aveva introdotto un nuovo regime di assegni familiari per figli a carico ("Assegno unico e universale per i figli a carico"), in base al quale i lavoratori che non risiedono in Italia per almeno 2 anni o i cui figli non risiedono in Italia non possono beneficiare della prestazione.
La Commissione aveva inviato una lettera di costituzione in mora all'Italia nel febbraio 2023, a cui ha fatto seguito un parere motivato nel novembre 2023. Poiché la risposta dell'Italia non ha soddisfatto sufficientemente alle preoccupazioni della Commissione, la Commissione ha ora deciso di deferire il caso alla Corte di giustizia dell'Unione Europea.
Nella mia recente interrogazione al Ministro del Lavoro chiedevo infatti di chiarire perché l’Inps continua a negare, secondo me ingiustamente, l’Assegno unico universale ai richiedenti residenti in Italia ma con figli a carico residenti all’estero, come se questi ultimi non facessero parte dello stesso nucleo familiare e come se, appunto, non fossero a carico dei genitori (o del genitore) residente in Italia.
In più occasioni la Corte di Giustizia europea aveva sentenziato che (sulla scorta dell’articolo 7 del regolamento n. 883/2004, intitolato «Abolizione delle clausole di residenza») le prestazioni in denaro dovute a titolo della legislazione di uno o più Stati membri non sono soggette ad alcuna riduzione, modifica, sospensione, soppressione o confisca per il fatto che il beneficiario o i familiari risiedono in uno Stato membro diverso da quello in cui si trova l’istituzione debitrice.
Nel deferimento alla Corte di giustizia, la Commissione ritiene che il regime dell’Assegno unico non sia compatibile con il diritto dell'UE in quanto costituisce una discriminazione nei confronti dei lavoratori mobili dell'UE. Uno dei principi fondamentali dell'UE è quello della parità di trattamento delle persone, senza distinzioni basate sulla nazionalità. Secondo questo principio di base, i lavoratori mobili dell'UE che contribuiscono allo stesso modo al sistema di sicurezza sociale e pagano le stesse tasse dei lavoratori locali hanno diritto alle stesse prestazioni di sicurezza sociale.
Nel deferimento la Commissione ha ricordato che in base al principio della parità di trattamento, i lavoratori mobili dell'UE che lavorano in Italia ma non sono residenti in Italia, quelli che si sono trasferiti solo di recente in Italia o quelli i cui figli risiedono in un altro Stato membro dovrebbero beneficiare delle stesse prestazioni familiari concesse agli altri lavoratori in Italia. Inoltre il principio dell'esportabilità delle prestazioni previsto nel regolamento relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza ai fini della percezione di prestazioni di sicurezza sociale quali le prestazioni familiari.
Proprio per questi motivi avevo chiesto al Governo nelle mie interrogazioni se non riteneva logico, giusto e opportuno riconoscere il diritto all’Assegno unico universale (attualmente negato) ai richiedenti residenti in Italia ma con nucleo familiare a carico residente all’estero. Ora sarà la Corte di giustizia a doversi pronunciare e, nel caso in cui dovesse dar ragione alla Commissione europea, l’Italia dovrà decidere se adeguarsi alle prescrizioni della Commissione (con costi molto elevati visto che l’Italia dovrà pagare gli arretrati a migliaia di lavoratori discriminati finora) oppure deciderà di non farlo con il rischio comunque di dover pagare sanzioni altissime. Visto l’orientamento in questa materia della Commissione europea non ci sorprenderebbero ulteriori procedure di infrazione sull’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro che prevedono anch’essi requisiti di residenza in Italia.