Anche se solo adesso ha deposto la corona Alain Delon, indimenticabile re del cinema francese, se l'era già sfilata nel 2017 con l'annunciato ritiro dalle scene: "Ho l'età che ho - diceva-.
Ho fatto la carriera che ho fatto. Ora, voglio chiudere il cerchio. Organizzando incontri di boxe, ho visto uomini che si sono pentiti di aver fatto un combattimento di troppo. Per me, non ce ne sarà uno di troppo".
Ben più del peso degli anni e dell'orrore nel vedere allo specchio la sua leggendaria bellezza sfiorita, a minare la sua voglia di vivere c'era stato un ictus (destino condiviso col suo eterno amico-rivale Jean-Paul Belmondo) e poi la diagnosi di un linfoma lentamente insinuato nei polmoni.
Da combattente irriducibile il vecchio leone aveva ancora salito la scalinata di Cannes nel 2019 per una Palma d'onore che risarciva l'unico Prix César ottenuto in carriera. Poi si è piegato definitivamente alla solitudine, una segreta compagna che in più momenti della vita l'aveva accompagnato nel tunnel della depressione.
Alain Delon - la cui morte è stata annunciata dai figli - era nato l'8 novembre 1935 a Sceaux nell'Alta Senna, aveva preso la cittadinanza svizzera negli anni '90, ma da molto si era ritirato nella tenuta di Douchy (sulla Loira) dove ha sepolto i suoi cani (ben 45) e ha preparato la cappella funebre per sé e per le donne e i figli che vorranno ritrovarlo, un'ultima volta.
Dopo una vita turbolenta dentro e fuori dal set, ha provato a tornare in teatro dividendo la scena con l'ex compagna Mireille Darc e la giovane figlia Anouchka, si è riconciliato con il primogenito Anthony, ha regalato agli amici la maggior parte degli oggetti che scandirono i suoi trionfi, ha venduto la maggior parte delle sue proprietà. E' stato un crepuscolo difficile per l'attore che aveva dominato il cinema europeo per oltre 30 anni; Delon infatti era un'icona, un marchio di successo, un mito degno delle star hollywoodiane.
Figlio del piccolo proprietario di un cinema di provincia e di una farmacista, viene abbandonato dai genitori divorziati ad appena quattro anni. Dato in affidamento, cresce da giovane ribelle, costantemente punito a scuola, insofferente della disciplina e della nuova famiglia della madre in cui non si ritrova. A 17 anni si arruola, prima del tempo, in marina e finisce a Saigon, con una ferma prolungata a cinque anni perché quasi la metà la trascorre in cella di rigore. Finalmente congedato nel 1956, si annida nella Parigi bohemienne di Montmartre facendo mille mestieri e rischiando di imbrancarsi nelle peggiori compagnie.
Lo salvano la passione per una giovane attrice (Brigitte Auber) e l'incontro occasionale con Jean-Claude Brialy che, colpito dalla sua bellezza, lo invita al Festival di Cannes e lo incoraggia a tentare la carriera del cinema. Irrequieto com'è, il giovane mette invece radici a Roma trovando ospitalità dal fotografo Gian Paolo Barbieri, ma rifiuta la proposta del tycoon David O'Selznick che gli offre un contratto in esclusiva a Hollywood. Invece torna a Parigi e accetta la proposta di Yves Allegret che lo sceglie per "Godot" con Edwige Feuillière e lo propone poi a suo fratello Marc per "Fatti bella e taci".
E' il 1958 e su quel set il giovane attore incontra Mylène Demongeot (l'eterna rivale di Brigitte Bardot nello star system degli anni '50) e il suo amico ed eterno rivale, Jean-Paul Belmondo. I suoi primi film sono lontani dal successo, ma gli bastano per farsi notare da René Clement che nel 1960 gli offre il ruolo della vita: il giovane Tom Ripley in "Delitto in pieno sole" dal romanzo di Patricia Highsmith. E' un autentica esplosione, un terremoto artistico e commerciale che nella vita di Alain Delon si lega alla travolgente passione per Romy Schneider, conosciuta due anni prima sul set di "L'amante pura". Insieme i due conquistano in breve tempo Parigi, la Francia, il cinema, la notorietà.
Tornato in Italia, nello stesso 1960, trova la conferma artistica grazie a Luchino Visconti in "Rocco e i suoi fratelli", per poi incontrare Michelangelo Antonioni ("L'eclisse", 1962) e trionfare con "Il Gattopardo" (Palma d'oro a Cannes nel 1963).
Nello stesso anno corona il sogno infantile di rivaleggiare con Jean Gabin grazie a Henri Verneuil che lo dirige in "Colpo grosso al casinò" e lo inizia al genere del "polar" (incrocio di noir e poliziesco) che sarà il marchio di fabbrica per tutta la carriera.
La lista dei suoi film (e successi) per i vent'anni successivi e' impressionante: basti pensare al sodalizio con Jean-Pierre Melville (da "Frank Costello" a "I senza nome"), alla rivalità spettacolare con Belmondo ("Borsalino"), alla sequela infinita di capolavori di genere diretti da Jacques Deray, tra cui spicca, nel 1969, il nuovo incontro artistico con Romy Schneider (da cui si e' separato nella vita) in "La piscina". Attore poliedrico, dal fisico atletico che esalta in titoli di cappa&spada come "Il tulipano nero" o "Zorro" del nostro Duccio Tessari, lavoratore frenetico (più di 80 film come attore, 30 come produttore, due come regista), Delon conserva però una segreta passione per il cinema d'autore con incursioni memorabili come "La prima notte di quiete" di Valerio Zurlini (1972), "Mr. Klein" di Joseph Losey (1976), "Un amore di Swann" di Volker Schlondorff (1984), "Nouvelle Vague" di Jean-Luc Godard (1990).
Altrettanto lussureggiante e' la sua vita privata tra amori folli (Nathalie Delon, Jill Fouquet, Romy Schneider, Nico, Dalida, Mireille Darc, Anne Parillaud, Rosalie Van Breemen), figli sovente trascurati (ben otto alla fine, più uno mai riconosciuto), grane legali in vecchiaia con la sua amante/badante Hiromi Rollin, liti ricorrenti tra i figli, passioni pericolose (i cavalli, la boxe, il gioco), rischiose amicizie nella malavita e il mistero dell'assassinio del suo body-guard, Stevan Markovich.
In politica si è sempre dichiarato conservatore, venerava il Generale De Gaulle, è stato amico di Jean-Marie Le Pen, ha ricevuto la Legion d'onore da Jacques Chirac, ma tra i suoi grandi amici ha sempre annoverato uomini della sinistra da Luchino Visconti a Jack Lang, da Bernard Henri-Levy a Joseph Losey. L'ultima volta al cinema, con un guizzo autoironico, e' stato un beffardo Giulio Cesare in "Asterix alle Olimpiadi". Ma poco dopo, testimonial di una marca di pellicce nel 2013, aveva già in volto la malinconia della vecchiaia: "ho pensato spesso al suicidio e vedo bene la scena - ha detto -; farlo e' un gioco da ragazzi. Il difficile è riflettere per non passare all'azione".