Gente d'Italia

I giornali stanno morendo, lunga vita ai giornali: ecco perché il Governo deve aiutarli

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di MARCO BENEDETTO

I giornali stanno morendo, lunga vita ai giornali. Perché il Governo italiano deve concepire una legge di aiuti per i giornali, su carta e online, della potenza di quelle che nel 1981 e nel 1987 misero i quotidiani, all’epoca solo su carta, in carreggiata, garantendo loro vent’anni di prosperità. Fino all’arrivo di internet. Da allora tutto è cambiato. In peggio. Ecco perché i Partiti, il Governo, il Parlamento devono attuare, in fretta, un intervento di sostegno. Dove prendere i soldi? Come dice Maurizio Gasparri basterebbe far pagare le dovute tasse ai giganti del web.

La crisi delle vendite dei giornali in Italia e del mondo è in queste poche cifre.
Se ne vendevano più di 5 milioni nel 2004, vent’anni fa. Se ne vendevano 2 milioni e 800 mila esemplari ogni giorno nel 2014. Se ne sono vendute poco più di 1 milione di copie nel luglio del 2024.

Il trend dei lettori dei giornali

Diverso il trend dei lettori che sono scesi solo, diciamo così, dai 20 milioni di vent’anni fa, agli 11 del 2024.
Vuol dire che la gente legge i giornali più di quanto li compri. Vuol dire che l’informazione è morta? Tutt’altro.
Ai 20 milioni di lettori di vent’anni fa e ai 12 milioni di fruitori di telegiornali si sono aggiunti e sostituiti i milioni e milioni di utenti di Internet. Precisamente 37 milioni. Si aggiungono ovviamente ai 10 milioni di lettori rimasti e ai milioni, in calo masempre milioni, degli spettatori dei Tg. In un Paese di quasi 60 milioni di abitanti, bambini e rimbambiti compresi.

Non si può, in apparenza, parlare di crisi dell’informazione. Vien da ridere, a chi ha memoria, ricordare che nel ’68 in America si parlava di overflow of information perché ai 1.200 quotidiani che davano le notizie nelle città del continente, uno per città, e ai milioni di copie dei settimanali Time e Newsweek si erano aggiunte le tre grandi reti tv CBS, NBC, ABC. Altro che straripamento, siamo al diluvio.

Nel 2024 sono stati registrati in particolare 119 milioni di utenti di siti di informazione, il che vuol dire che molti di noi frequentano più di una testata. Ad essi vanno aggiunti i purtroppo pochi abbonati alla versione digitale della edizione cartacea: 366 mila.
Poi si deve poi aggiungere la sterminata tribù dei frequentatori di social network: 31 milioni ciascuno per Facebook e Instagram, 18 milioni di adulti per TikTok.
Sono numeri enormi dietro i quali si cela un turbinio di scambi di informazioni. Lì risiedono le fake news lì si diffondono le grandi scemenze, mescolate ai compleanni, agli auguri, ai matrimoni e alle dichiarazioni d’amore, il dentino del bambino, le pose di cani e gatti.
I politici e le aziende tengono giustamente in grande considerazione i social network. Giorgia meloni a New York ha quasi flirtato con Elon Musk, il padrone di X cioè Twitter e c’è da avere paura non per l’onore della nostra primo ministro ma per il fatto che un ingresso dirompente di Musk in Italia può solo fare dei danni ulteriori.

Due tipi di informazione

C’è però una differenza fondamentale tra l’informazione prodotta dai giornali e quella dei social network. Questi ultimi sono il ricettacolo di qualunque idea di qualunque fantasia di qualunque teoria scritti in un italiano più o meno approssimativo, più o meno adatto alle esigenze di spazio dei messaggi.
I giornali invece sono fatti da persone che vivono di quello, sono legate a una tradizione, a un brand a una credibilità.
Politico e aziende giocano con entusiasmo coi i social network. Si è sviluppata una generazione di esperti che conosce tutti i segreti delle tecnologie. Ma nessuno finora ha potuto valutare gli effetti del giorno dopo.
Certo anche i giornali dicono bugie; a Torino gli operai della Fiat chiamavano “busiarda” il giornale della città.
Sui giornali si scrivono scemenze, i giornali sono distorti. In realtà in Italia non abbiamo mai avuto un gran giornalismo a parte qualche raro esempio.
Prima del 68 la stampa era in paludata, quasi inamidata e anche limitata nelle foliazioni perché l’economia non consentiva di andare oltre le 12-13 pagine di testo.
Dopo c’è stata l’l’occupazione ideologica dei giornali. I giornalisti davano addirittura ai cortei con gli striscioni del 1 maggio come gli operai della Fiat.
Giornali come Repubblica si sono impegnati nel demolire due uomini politici prima Craxi e poi Berlusconi. Che poi oggi non la compri quasi più nessuno forse è perché la gente è rimasta delusa: gli avevano promesso che dopo Berlusconi l’Italia sarebbe diventata una specie di paradiso terrestre e invece ci è arrivato in mezzo alle gambe Mario Monti, Supermario prima di Draghi, che ha distrutto la nautica e faceva appostare la Guardia di Finanza in via Condotti a Roma, che se uscivi da un negozio con un pacchetto, ti fermavano come un terrorista.
A proposito di Repubblica e nel confronto col Corriere della Sera, interessante notare un fatto. Repubblica vende (carta  e digitale ) poco più di 100.000 copie, il Corriere il doppio. Però nella gli indici di lettura, il moltiplicatore che del mercato medio è di 10 volte, per Repubblica è di 13 e per il Corriere è di 8 volte.
Vent’anni fa i lettori dei due giornali erano attorno al 2,9 milioni ciascuno, con rispettivamente 455 mila (Repubblica) e 505 mila (Corriere) dí esemplari venduti. Oggi i lettori risultano rispettivamente 1.347 mila e 1.697 mila su 100 e 210 mila copie.

I giornali sono un prodotto di élite in tutto il mondo. Se voi togliete dal mercato tedesco le copie dei giornali popolari e così fate anche per il mercato inglese vedrete che i giornali di qualità, Times, Telegraph, Welt, non superano complessivamente di molto il migliore di copie che il mercato italiano.
La Francia, che non ha classe operaia francofona, è come l’Italia.
Oggi, trovando più o meno le stesse notizie che trovate sui giornali a pagamento sui siti Internet gratuiti, non c’è ragione di comprare un giornale che non vale il prezzo che ti chiede oggi e questo si potrebbe spiegare appunto il fenomeno Repubblica.
Però i giornali non sono solo un flusso o una accozzaglia di notizie, ma anche orientamento e anche ideologia, e anche una posizione della società e della politica.
I giornali sono prodotti di élite dicevamo e l’’élite è quella che guida il paese, che interpreta e media le istanze, quella che si dovrebbe dire la classe dirigente, sono quel milione di copie vendute oggi in Italia.
Se muoiono questi giornali dove si formerà l’orientamento della classe dirigente? Ma anche dove si troveranno notizie poi i siti Internet e troveranno i notizie social network? Semplicemente non ci saranno più notizie.
Una prospettiva preoccupante. Ecco perché lo Stato deve intervenire.
I giornali non piacciono ai politici ma devono essere convinti che un futuro senza giornali è peggio del day after e alla fine una disinformazione disorientata come quella dei suoi network e dei siti all’impazzata si ritorcerà contro di loro.

 

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