Egregio Direttore,
I media quest'anno hanno dedicato scarsa o, forse, nessuna attenzione alla ricorrenza del golpe militare dell'11 settembre 1973, con cui Augusto Pinochet rovesciò il governo socialista di Salvador Allende.
Noi sappiamo oggi che la via cilena al socialismo, propugnata dal governo di Unidad Popular, era destinata a fallire, per ragioni geopolitiche, come adesso si dice, ma anche perché i tempi non erano maturi.
Sappiamo anche che Salvador Allende fu la vittima designata, prima che dei generali felloni, della divisione del mondo in sfere di influenza. È nota per altro l'enorme impressione che le vicende cilene produssero in Italia, spingendo il Partito comunista italiano, allora il più forte dell'Occidente, a cambiare il proprio indirizzo politico.
Se Allende oggi viene ricordato come un eroe sfortunato, Pinochet è assurto, invece, ad icona del male. Tuttavia, non mancano gli studiosi che ne hanno ridimensionato, per così dire, la figura, declassando l'ex golpista a dittatore di media caratura, sullo stesso piano, più o meno, dei tanti caudillos latino-
Gioverebbe tuttavia provare a soffermarsi sulla '' presa'' globale del personaggio Pinochet, un esercizio, questo, che gli storici potranno utilmente approfondire. Forse, è arrischiato affermarlo, ma l'ex dittatore ha plasmato il corso degli avvenimenti, non solo in Cile, ma, in una certa misura, anche in Italia e in Europa.
Si parla infatti di eterogenesi dei fini per significare che certi fatti producono effetti imprevedibili. Ebbene, senza Pinochet non avremmo avuto il compromesso storico di Enrico Berlinguer, un fatto, questo, che ha ravvivato, negli anni 70 e 80 del secolo scorso, il dibattito sulle sorti del socialismo democratico in Europa.
Come è forse noto, l'eco di quel dibattitto ha avuto notevole risonanza anche nei Paesi dell'Est europeo, allora sotto il dominio sovietico, ma all'origine c'erano pur sempre gli avvenimenti cileni.
Gerardo Petta- Zurigo