di ENZO GHONNI

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per l’ennesima volta ha ribadito la centralità del pluralismo per il pieno esercizio dei diritti fondamentali. In particolare, ha posto l’attenzione sulla necessità di evitare le tentazioni dei poteri pubblici di fissare limiti agli spazi di libertà di informazione. Le sue parole non solo sono in linea con i principi del Media freedom act, che entrerà in vigore ad agosto 2025, ma rientrano nella lunga serie di inviti che Mattarella ed i suoi predecessori hanno inviato alla politica circa la necessità di non abbassare mai la guardia rispetto ai rischi connessi all’assenza di pluralismo. Infatti, sia il Presidente Ciampi che il Presidente Napolitano hanno sempre posto grande attenzione alla necessità di garantire l’autonomia e la sostenibilità delle imprese editoriali. Al contempo, tutti, ma proprio tutti gli esecutivi negli ultimi venti anni una volta arrivati al potere hanno dimostrato poca attenzione alla tutela della libera informazione. E ricordare la storia può tornare utile. Il sottosegretario Bonaiuti, in nome dell’Europa e della libertà d’impresa, fu il primo a minare la sostenibilità delle imprese editoriali negando l’esistenza di un diritto soggettivo delle stesse al sostegno pubblico. Questa tesi grossolanamente sostenuta anche dall’allora capo Dipartimento è stata poi confutata dalla giurisprudenza, anche della Cassazione, e dalla Corte Costituzionale. Il punto era il principio: degradare un diritto previsto da una legge ad una facoltà del Governo. Poi, con il Governo Monti arrivò come sottosegretario Carlo Malinconico, direttamente dalla Presidenza della Fieg, e con un decreto-legge con voto di fiducia abrogò i contributi all’editoria in nome del buon funzionamento del mercato. Oggettivamente, per quel Governo i piccoli giornali ed il pluralismo non erano funzionali al progetto complessivo di azzerare il dibattito; poi, per fortuna, l’ipotesi del Sottosegretario è naufragata per le sue dimissioni – Malinconico fu investito da un’inchiesta giudiziaria – e del progetto politico di Monti. Il Governo Renzi nominò sottosegretario Lotti che esordì, anche lui in nome del mercato, con l’ipotesi di riservare il sostegno solo alle imprese con maggiore successo, per evitare di disperdere risorse. In questo caso, fu provvidenziale l’intervento del Presidente Mattarella che chiese un percorso condiviso che portò ad una buona legge di riforma del sostegno pubblico che Lotti, giustamente, si intestò. Con il Governo Conte arriva come sottosegretario Vito Crimi, l’uomo che detestava i giornali e che invitava ad informarsi su Telegram, ignorando la differenza tra mezzo e contenuto. Tra dichiarazioni roboanti e Stati generali dell’editoria falliti impose una norma che aboliva i contributi disciplinati da una legge; preferiva bandi in cui le risorse sarebbe state attribuite sulla base di criteri arbitrati da una Commissione da lui nominata. In altri termini, il Governo avrebbe deciso a chi dare sostegno; tutto ciò con la solidarietà della lega che con Alessandro Morelli sosteneva che il futuro del pluralismo era nelle nuove tecnologie di connessione, confondendo gli smartphone con il pluralismo. Poi venne il Papeete e arrivò come sottosegretario, su indicazione del PD, Andrea Martella, anche lui partito in quinta contro il sostegno pubblico, ma il diverso spessore culturale rispetto al suo predecessore, lo ha portato a riconsiderare le cose. Il Sottosegretario di questo Governo, Alberto Barachini, all’inizio del mandato conosceva bene il settore in relazione alle grandi imprese editoriali, dalle quali proveniva, ma molto di meno quello dei piccoli giornali. Questo ha creato qualche incomprensione e qualche tensione che, però, sembrano aver consentito di arrivare ad un dialogo, senza il quale non si può parlare di pluralismo. E, quindi, la sensibilità di questo Governo rispetto alla garanzia dell’autonomia dell’informazione è, almeno, non inferiore a quella dei precedenti.

Tutto ciò per dire che chiunque vada al Governo sa che avere un sistema pluralistico di informazione, fonti, contenuti, opinioni, gli renderà più difficile mantenere il consenso. E, quindi, avrà la tentazione di contrastare la pluralità di giornali e di siti professionali, cercando accordi con le piattaforme internazionali e con i grandi gruppi editoriali, dove è più semplice trovare punti di convergenza, visti i diversi interessi degli imprenditori che possiedono i maggiori giornali italiani. Dobbiamo, per l’ennesima volta, ringraziare il Capo dello Stato che invita la politica a garantire il pluralismo per poter un domani garantire se stessi. In altri termini, per tutelare la democrazia.