di FABIO PORTA

La storia di Paolo Ciulla, alla quale il Premio Nobel Dario Fo ha dedicato una pièce teatrale e la grande scrittrice calatina Maria Attanasio un bellissimo romanzo, avrebbe tutti gli ingredienti per diventare un film da Oscar. Nonostante siano trascorsi quasi cento anni dalla sua morte e cento esatti dal processo che lo coinvolse, la vicenda di questo uomo è attualissima per i molteplici aspetti che hanno caratterizzato la sua vita di artista, politico e – appunto – falsario.

Ciulla nasce nel 1867 a Caltagirone, la bellissima cittadina barocca della Sicilia orientale famosa per le sue ceramiche artistiche, da una famiglia benestante. Il suo spirito è curioso e irrequieto e fin da giovane lo porta ad abbracciare la causa dei più umili; anarchico e socialista, parteciperà nel 1889 alla “primavera calatina” dell’amministrazione liberale dell’avvocato Mario Milazzo, una breve parentesi destinata a soccombere a causa dell’accanita opposizione di nobili e ricchi commercianti.

Nella vita, frenetica per quei tempi, del giovane artista omosessuale di Caltagirone vanno ricordati i periodi trascorsi a Roma e Napoli, ma anche le esperienze all’estero a Parigi prima e a Buenos Aires poi, dove arriva dopo un viaggio che da Napoli lo porterà fino in Brasile.

Ma è il suo ultimo periodo “catanese” a consegnare questo personaggio eclettico e geniale alla storia del nostro Paese; Ciulla infatti perfezionerà in maniera esemplare il suo talento nella realizzazione di banconote false, arrivando a stampare almeno centomila biglietti da 500 lire dell’epoca (circa 500 euro di oggi), per un valore complessivo di oltre 50 milioni di euro attuali. Fu scoperto a causa della sua… bontà! Sì, proprio così: la generosità del “falsario gentiluomo” lo portava infatti a trattenere per sé stesso solo una minima parte della sua “produzione”, destinando invece alle persone e famiglie meno abbienti e in palesi difficoltà economiche la grande parte delle banconote false.

Ciò insospettì la polizia che lo fece pedinare, fino all’arresto in flagranza di reato avvenuto il 17 ottobre del 1922. Il processo inizierà a Catania nel novembre del 1923; sarà il primo processo mediatico della storia italiana, con la partecipazione di centinaia di persone e dei corrispondenti dei maggiori giornali italiani e stranieri. La maggiore soddisfazione per Paolo Ciulla arriverà proprio dall’aula del Tribunale, dove i tre esperti della Banca d’Italia dichiareranno che “le 500 lire falsificate sono perfette sotto tutti i punti di vista e sono assai difficilmente riconoscibili come non buone anche da chi, come i cassieri di una banca, sono abituati a maneggiarne da mattina a sera.”

Il processo si concluderà nel 1924 con la condanna di Ciulla, che sarà confermata in maniera definitiva dalla Corte d’Appello nel 1925. Il “falsario gentiluomo”, ormai povero e sempre più solo, verrà liberato per buona condotta e ritornerà nella sua Caltagirone dove morirà il primo aprile del 1931 in un ospizio gestito dalle suore.

In un articolo pubblicato una decina di anni fa su “Huffington Post”, Giuseppe Fantasia esordiva così: “Tutti i più grandi falsari sono spesso dei validi artisti: ciò che vogliono fare è sfidare le istituzioni e l’ordine costituito per dimostrare a sé stessi e agli altri il proprio talento e la propria bravura, come se volessero in qualche modo avere una rivincita nei confronti di quella società che non ne ha saputo riconoscere il valore.” Forse quella rivincita Paolo Ciulla l’ha avuta un secolo dopo, grazie a giornalisti, scrittori e premi Nobel che ne hanno riconosciuto l’originalità geniale e, per quell’epoca, quasi rivoluzionaria.