di FABIO PORTA

In un mondo sempre più devastato dalle violente conseguenze dei cambiamenti climatici, alla vigilia della COP30 sul clima che si svolgerà nel 2025 a Belèm in Brasile nel cuore dell’Amazzonia, il Papa – che già aveva manifestato tutta la sua sensibilità e preoccupazione in materia ambientale nella bellissima enciclica “Laudato sii” – ha voluto dare un altro fortissimo messaggio proclamando Santo un sacerdote italiano che all’inizio del secolo scorso fondò a Torino l’ordine dei missionari della Consolata.

Giuseppe Allamano nacque il 21 gennaio 1851 a Castelnuovo, lo stesso piccolo paese piemontese che diede i natali ad un altro grande Santo molto conosciuto in Brasile e nel mondo, Don Giovanni Bosco. Ordinato prete ventiduenne, sette anni dopo è Rettore del Convitto ecclesiastico per i neo-sacerdoti; la missione dell’Istituto che ha fondato partì dal Santuario della Consolata ed è oggi diffusa in tutto il mondo, dove i missionari e le missionarie della Consolata continuano a testimoniare la fede, spesso in condizioni di povertà materiale e spirituale.

Tutto inizia da un’osservazione che turba Padre Allamano: molti giovani preti desiderosi di diventare missionari vengono ostacolati dalle diocesi, che alle missioni preferiscono mandare soldi piuttosto che risorse umane. Il prete piemontese decide di creare così un Istituto di missionari. Nel 1902 parte la prima spedizione verso l’Africa, in Kenya. Otto anni più tardi Allamano dà origine anche alle Suore Missionarie della Consolata.

Il miracolo che conduce Padre Allamano alla santità è del febbraio 1996, e avviene proprio in Brasile: l’insperata guarigione di Sorino Yanomami, indigeno dell’Amazzonia, attaccato da un giaguaro che gli ha provocato gravi ferite al cranio, praticamente scoperchiato. Trasportato all’ospedale di Boa Vista, in Roraima, accudito dalle missionarie della Consolata, che non cessavano di chiedere la sua guarigione per intercessione del Padre Fondatore, Sorino ha miracolosamente recuperato la salute in pochi mesi, e vive tuttora nella sua comunità indigena. A Roma, nella conferenza stampa che ho avuto l’onore di organizzare alla Camera dei deputati, Padre Corrado Dalmonego, missionario della Consolata, antropologo, in servizio tra il popolo Yanomami, nel nord del Brasile, ha così commentato il miracolo: «È come se Allamano ci dicesse “io ho interceduto ma adesso, qual è la condizione dei popoli indigeni ?”».

Negli ultimi anni, ci ha ricordato Padre Corrado, proprio nelle terre degli indigeni Yanomani «sta avvenendo una seconda corsa all’oro, un aumento esponenziale di sfruttamento minerario illegale, legato ai narcos, al traffico di armi, con 20 mila cercatori d’oro su una popolazione di 33 mila persone». Oltre a «disboscamento, devastazione della foresta, contaminazione di acque e terre, si assiste a un deterioramento delle condizioni di salute della popolazione».

Il motto di Padre Allamano era « fare bene il bene»; forse è proprio di questo che il mondo oggi ha bisogno; non soltanto di parlare e nemmeno di fare, ma di “fare bene” per incidere su questi temi con l’urgenza e la profondità che richiedono. Purtroppo, dobbiamo fare i conti non soltanto con gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici o con lo sfruttamento indiscriminato della foresta; ad essere attaccati sempre più spesso sono i diritti primordiali delle popolazioni indigene, per non parlare poi del sempre più frequente “negazionismo ambientale” che, come avvenne con il Covid, mette in discussione anche le evidenze della scienza contemporanea. Anche per questo Padre Giuseppe Allamano non è soltanto un “nuovo Santo” ma un simbolo profetico della necessaria e quotidiana lotta per la preservazione dell’ambiente e il rispetto delle popolazioni indigene.