di DANIELE MASTROGIACOMO
Jair Bolsonaro non era un testimone assente, un semplice osservatore esterno, quasi una vittima inconsapevole delle trama golpista che, dalla seconda metà del 2022, si stava dipanando tra i vertici militari del Brasile. L'ex capitano ribelle di estrema destra è stato il vero protagonista, il sobillatore, l'unico regista del colpo di Stato culminato nell'assalto alla Spianata dei Tre Poteri a Brasilia l'8 gennaio 2023. In un rapporto di 884 pagine, nel quale vengono incriminate formalmente 37 persone, tra generali, politici, industriali e leader politici, la Polizia Federale elenca tutte le prove cartacee, fotografiche e digitali che chiariscono definitivamente ruoli e responsabilità di chi voleva uccidere per l'ennesima volta la democrazia in Brasile. L'irruzione di 40 mila persone nelle sedi del Parlamento, della Presidenza e del Tribunale Supremo Federale non fu un episodio isolato. Sancì l'atto conclusivo del progetto che puntava ad annullare l'esito delle elezioni svolte a fine ottobre 2022 e che avevano decretato la vittoria di Luiz Inácio Lula da Silva. Sin dall'agosto di quell'anno, Bolsonaro si attivò personalmente con i vertici militari chiedendo un parere che contestasse la validità del voto elettronico in funzione da 10 anni. La risposta fu negativa: gli venne riferito che dopo una serie di controlli e verifiche il sistema si era dimostrato efficace e protetto da possibili frodi. Ma l'uomo che aveva negato il Covid provocando 600 mila vittime, che aveva contraffatto il suo certificato anti virus grazie al quale era potuto entrare negli Usa in piena pandemia, che si era appropriato dei gioielli donati alla presidenza del Brasile dai governi nelle visite ufficiali, tornò alla carica con consiglieri e ministri. Chiese e ottenne la formulazione di un decreto che lo mettesse al riparo da un punto di vista costituzionale; diede ordine di stendere un programma di governo d'emergenza; propose di scatenare il caos, ordinare l'arresto del consigliere del Supremo Alexander de Moraes e ventilò perfino l'ipotesi di assassinare Lula. Convocò i tre capi dell'Esercito, dell'Aeronautica e della Marina per capire se avrebbero aderito al piano. I primi due si dissociarono, il terzo si mise a disposizione. Allora avviò la macchina del fango e iniziò a delegittimare chi si era rifiutato di seguirlo con valanga di fake sui social e video contraffatti. Solo quando le urne sancirono la sua sconfitta, una circostanza che tutti i suoi consiglieri e sondaggisti avevano escluso, Bolsonaro cadde in una depressione e per due giorni sparì dalla circolazione. I militari amici lo risollevarono, dissero che c'erano ancora speranze per un colpo di mano, avviarono una campagna di persuasione e di minacce, con la convocazione di migliaia di seguaci e fans davanti al quartiere generale dell'esercito a Brasilia. L'enorme folla restò accampata per giorni sotto la protezione dei soldati che nulla fecero per impedire la loro irruzione, programmata, verso la spianata dei Tre poteri. Il presidente sconfitto aveva già preso il largo dopo aver messo a punto gli ultimi dettagli del piano. Si rifugiò vicino a Mar-o-Lago, a due passi dal suo amico Donald Trump. In attesa che i suoi portassero a termine il piano e per fornirsi un alibi in caso di insuccesso. Fu solo grazie al coraggio di alcuni alti servitori dello Stato se la democrazia si salvò. Il golpe venne sventato per un soffio, migliaia di attivisti fermati e arrestati, Bolsonaro restò ancora un mese riparato in Florida trattando le garanzie per un suo rientro. Molte delle cose emerse nel rapporto erano note. Ma colpisce leggere e vedere adesso le prove, le chat, le foto, i messaggi criptati, gli appuntamenti, gli incontri, le riunioni, tutte registrati e confermati da alcuni dei partecipanti. Raccontano una storia diversa. Una conferma che smentisce l'immagine assolutoria fornita dallo stesso protagonista: quella di un uomo che amava la dittatura e che era pronto a un golpe per ripristinarla.