di BRUNO TUCCI

I blocchi sul cammino di Meloni: giustizia, immigrazione, salari, premierato, la lezione dei due Matteo. Difficile è arrivare in vetta, assai più complicato è restarci. Questo è un must che chi fa politica dovrebbe tenere bene in mente. Non c’è dubbio che conquistare una poltrona prestigiosa vuol dire che sono stati superati ostacoli di ogni genere.

Però, attenzione, perché la fama e la gloria possono dare alla testa e farti compiere passi falsi che favoriscono inesorabilmente il declino. Di esempi in Italia ce ne sono stati molti, il più clamoroso dei quali fu l’inciampo di Matteo Renzi che da un quaranta per cento di preferenze fu costretto poi a lasciare Palazzo Chigi. Senza dimenticare il flop di un altro Matteo, proprio lui Salvini, che in pochi mesi si mangiò la dote che aveva conquistato.

Meloni la prima donna

Questi modelli dovrebbero far riflettere la prima donna che sia riuscita in Italia a diventare presidente del consiglio. Un traguardo importante, unico per il momento, che comunque dovrebbe impegnare  la premier a rimanere con i piedi in terra.

Chi vota nel nostro Paese è assai ondivago e dalle stelle in un amen si può precipitare alle stalle. In questi giorni si celebra nell’incantevole scenario del Circo Massimo la festa dei Fratelli d’Italia che ha un nome simbolico, Atreju, che prende spunto da un celebre romanzo di Michael Ende, “La storia infinita”.

Una settimana per rendere assai felici gli esponenti di questo partito. Al di là della kermesse resta il futuro che non è affatto semplice per la maggioranza. Innanzitutto, per i tanti problemi che travagliano l’Italia; in secondo luogo, perché l’opposizione, legalmente, cerca, di trovare un qualsiasi appiglio per contrastare il cammino del governo.

Ecco perché il futuro di Giorgia Meloni non è affatto facile. Gli italiani sono giustamente preoccupati e i numeri lo confermano: sette su dieci considerano l’Europa un disastro: uno su due ha paura di una guerra globale. La gente legge e riflette: non si fa più prendere in giro dalle false promesse e non fa sconti a nessuno: uomini o donne che siano.

Per arrivare al 2027

Allora, è al domani che il governo deve soprattutto pensare se vuole sopravvivere e raggiungere il 2027 e andare magari oltre. All’orizzonte si affacciano riforme di tutto rispetto di cui la premier parlò in campagna elettorale prima di raggiungere Palazzo Chigi.

Ebbene, non si può nascondere che qualcuno di quegli impegni sono rimasti per il momento lettera morta. Certo, le elezioni regionali hanno complicato il cammino ritardando determinate decisioni. Ora, però, non ci sono più scuse e bisogna dimostrare coraggio.

Scriveva Alessandro Manzoni parlando di Don Abbondio: “Se uno il coraggio non lo ha non se lo può dare”. E’ proprio questo sostantivo che la maggioranza deve tenere bene in mente. Chi va a votare non dimentica e sa come vendicarsi se le parole non hanno un seguito.

Allora, almeno su tre punti, chi governa non può scordare gli impegni presi. In primo luogo, la riforma della giustizia che vuol dire separazione delle carriere: da una parte i pubblici ministeri; dall’altra i giudici. Il ministro Nordio ci sta lavorando da tempo, forse troppo, perché gli avanti e indietro non si contano più. Per quale motivo?

Si ha paura di sbattere contro un muro anche perché l’opposizione è molto agguerrita sull’argomento, aiutata da una certa parte della magistratura che non vede di buon occhio la svolta.

A seguire: il problema dei migranti. Troppi sbarchi, dice la destra; l’accoglienza non si può negare, rispondono a sinistra. I primi passi non hanno avuto successo: l’iniziativa di trasferire una parte del popolo che arrivava in Italia nella vicina Albania è stata un flop. E’ un capitombolo che non si può ripetere se l’esecutivo vuol vivere in tranquillità.

Poi, non bisogna dimenticare il salario minimo su cui la sinistra unita grida a gran voce. In effetti, da noi, il lavoro non è pagato sufficientemente: ragione per cui una decisione, magari concordata, la si deve pur prendere.

Infine, il premierato, cioè l’elezione diretta del presidente dei consiglio cha favorirebbe la stabilità del governo. Apriti cielo: a sinistra si ritiene che sia in ballo la democrazia. Si leveranno i poteri al capo dello Stato che avrebbe in tal caso un ruolo meno importante rispetto al presidente del consiglio voluto dal popolo.

In questo caso, la maggioranza è prudente, teme un referendum abrogativo che potrebbe dare un colpo di grazia a chi governa. Comunque sia, una strada la si dovrà pur imboccare: le titubanze non giovano. Meglio, quindi, abbandonare ogni progetto e passare oltre.