Gente d'Italia

Un Paese normale. È l’Uruguay, dove l’alternanza al potere avviene senza traumi o minacce di golpe

di FABIO PORTA

Quasi trent’anni fa l’ex Presidente del Consiglio italiano Massimo D’Alema scrisse un libro dal titolo semplice ma al tempo stesso provocatorio: “Un Paese normale. La sinistra e il futuro dell’Italia”.

Sebbene la riflessione politica si rivolgeva soprattutto alla sinistra italiana, che secondo D’Alema doveva prepararsi ad assumere responsabilità di governo (cosa che effettivamente avvenne negli anni a venire) coniugando i tradizionali valori del movimento operaio con le sfide della modernità, il vero messaggio di quelle pagine era rivolto a tutto il Paese, che all’inizio della cosiddetta “seconda repubblica” doveva fare i conti con una inedita per quanto fisiologica contrapposizione tra due coalizioni politicamente contrapposte.

L’alternanza al potere, sosteneva D’Alema, dovrebbe infatti essere la “normalità” e non l’eccezione in uno Stato realmente democratico, così come già da tempo avveniva nelle più mature democrazie europee. Ho ripensato a questo libro e a queste riflessioni quando, qualche settimana fa, mi sono recato a Montevideo per seguire il secondo turno delle elezioni presidenziali in Uruguay; a vincere è stato il candidato del “Frente Amplio” Yamandu Orsi che nel prossimo mese di marzo si insedierà in sostituzione dell’attuale Presidente Lacalle Pou.

A sorprendere chi come me arrivava a Montevideo da San Paolo e ripartiva il giorno dopo per Buenos Aires era l’infinita distanza da quanto nelle stesse ore accadeva nei due Paesi vicini: in Argentina e Brasile, infatti, la polarizzazione politica ha raggiunto negli ultimi anni vette inaudite e fino a pochi anni fa inimmaginabili; la delegittimazione dell’avversario politico quando non addirittura la trama per una sua eliminazione fisica hanno contaminato fortemente il dibattito politico dei due più grandi Paesi del Sudamerica, e parlare oggi di transizioni pacifiche e democratiche a Brasilia o Buenos Aires risulta sempre più difficile.

Esattamente il contrario dell’Uruguay, quasi un’isola felice oggi nel continente, dove per la strada a poche ore dal risultato finale era possibile incontrare bancarelle che vendevano t-shirt e bandiere di una delle due coalizioni e dove al momento del risultato la città intera è stata attraversata da una festa popolare democratica e pacifica. Mi sono imbattuto in intere famiglie e ho incontrato tanti giovani; ho avuto modo di parlare con loro nelle ramblas della capitale, discutendo con sostenitori dell’uno e dell’altro schieramento davanti ad una birra in totale rispetto e armonia.

Lontani anni luce dalle contrapposizioni politiche che qualche settimana fa hanno consacrato negli Stati Uniti Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti: divisioni che attraversano le famiglie e i gruppi di amici, con una coda di odio e risentimento che dagli Sati Uniti si è riversata abbondantemente in tante altre democrazie, sempre più lontane dallo spirito democratico della “Polis” greca e semmai più comparabili alle guerre di religione dell’Europa del Cinquecento.

Il primo ringraziamento della nuova Vicepresidente dell’Uruguay, Carolina Cosse, nel discorso davanti a migliaia di sostenitori in festa, è andato… a coloro che non l’hanno votata (!); un gesto di rispetto per le regole democratiche e di amore per il proprio Paese. Una “normalità” alla quale non eravamo più abituati.

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