di FRANCO MANZITTI

Papa Francesco e la ChiesaEntra con la carrozzella in chiesa dentro alla Porta Santa del Giubileo e tre giorni dopo presiede la messa del primo dell’Anno, sempre seduto, ma nella pompa magna di san Pietro. E parla con voce flebile dopo pochi minuti dalla fine della funzione, in piedi dalla finestra dell’Angelus, il papa Francesco, appena compiuti 88 anni, giunto al quattordicesimo anno di pontificato, uno dei più longevi della storia.

La storia della Chiesa cattolica romana gira come mai è avvenuto nei tempi moderni, sotto la spinta di questo papa arrivato dal mondo alla fine del mondo, dopo la rinuncia di Benedetto XVI, Joseph Ratzinger.

Gira tanto la storia della Chiesa cattolica Romana, che forse torna al punto di partenza di questo papato, annunciato senza previsioni e diventato uno dei più rivoluzionari e ora ancora cambiato. Mentre nell’ultimo Concistoro sono appena entrati altri 21 cardinali, tutti scelti da lui, e sono 110 di nomina bergogliana dei 140 totali tutto sembra cambiare. Restano solo 24 cardinali ratzingheriani e appena 6 di quelli cui impose la berretta Giovanni Paolo II, papa Woytila.

Il destino della Chiesa è nelle loro mani

Papa Francesco nella chiesa di San PietroSono loro che sceglieranno il successore di Francesco, un papa che non molla, nonostante le voci ricorrenti della sua rinuncia possibile.

E sarà uno dei Conclavi più complicati in due millenni di Storia con 57 cardinali europei, 24 asiatici, 23 africani, 18 americani del Sud, 14 americani del Nord, 4 dell’America Latina, 4 australiani.

Gli italiani sono ancora la maggioranza con 19 aventi il diritto di voto, prima della Spagna e degli Usa con 10, del Brasile addirittura 7 e della Francia 6.

Il più giovane è, quasi ovviamente, un ucraino. Mikhoila Bychok, 44 anni, mentre il più vecchio, che non entrerà nella cappella Sistina, ma che ha ricevuto le insegne porpora, è Angelo Acerbo, 99 anni, ex nunzio apostolico.

Quale Chiesa sarà questa che uscirà dal pontificato argentino, con il conclave più numeroso e più giovane che ci sia mai stato? Età media 62 anni, grazie alle scelte del papa venuto da quel mondo laggiù in fondo all’emisfero americano, in una generazione che resterà per decenni in quel ruolo, il più esclusivo del cattolicesimo. Sono loro che circondano il papa e lo sostengono “usque ad effusionem sanguinis”, fino all’effusione del sangue e da qui il colore porpora delle loro insegne, lo zucchetto, la veste.

Certo ora in quell’assise su su cui tanto si fantastica ( è appena uscito un film “Il Conclave” del regista Premio Oscar, Edward Berger, che ne esalta gli intrighi possibili e le scelte mai come oggi attese) siederà molto di più il sud del mondo.

Una serie di cambiamenti

Il cambio è non solo geografico e generazionale, ma secco in altri modi: Francesco è andato a pescare sopratutto pastori, spesso capi di diocesi complesse, molti scelti da ordini religiosi come i domenicani, i francescani e ovviamente i “suoi” gesuiti.

Non si creda che siano tutti progressisti, in quella linea che per tutti questi anni ha fatto infuriare i tradizionalisti, quelli che arrivano non troppo in silenzio a disconoscere il papato bergogliano.

Ci sono anche i rivoluzionari a rovescia, come il cardinale Giorgio Marengo, il secondo più giovane, 50 anni, italiano in missione in Mongolia, dove la Chiesa vive come ai tempi primitivi.

Saranno più giovani e più lontani e più perenni ma, ancora, per quale Chiesa del futuro?

“Sarà Cattolica questa Chiesa!”,  ha quasi ovviamente risposto Francesco a una domanda diretta del vescovo di Treviri, in uno dei suoi ultimi viaggi più difficili, quello in Lussemburgo e Belgio, quando gli sono stati anche portati i saluti della Conferenza Episcopale tedesca, quella che da anni ha più spinto per riforme radicali, come la fine del celibato dei preti, il nuovo ruolo delle donne, la benedizione delle coppie gay.

“È cattolica!” sembrava una battuta, ma molti l’hanno letta un po’ come una retromarcia per il papa della enciclica “Evangeli gaudium” del 2013, nella quale si facevano intravvedere potestà dottrinali, capaci di cambiare molto nella Chiesa millenaria.

I tedeschi e non solo spingevano, utilizzando, come altre Chiese, la spinta assembleare del Sinodo, la grande occasione, per discutere, mettere sul piatto e magari ottenere da Roma i cambiamenti che molti aspettavano fino dai tempi del Concilio Vaticano II.

E tutto sembrava che andasse in quella direzione nelle scelte di Francesco, nel suo stile così diverso dal primo momento, anche nelle mosse personali, come abitare a Santa Marta, come scappare dal Vaticano in privato per comprarsi gli occhiali, come l’auto papale, sostituita dall’utilitaria.

Dopo il Sinodo - Come nel Sinodo, grande occasione universale, incominciato con le spinte in Amazzonia, dove i “viri probati” sostituivano per necessità i sacerdoti lontani da quelle zone così sperdute e sembravano l’anticipazione della riforma chiave: il celibato….

Invece quella risposta sulla Chiesa, che rimane “cattolica”, pronunciata alla fine degli anni di Sinodo, ha un po’ spostato anche l’immagine forte di questo papa rivoluzionario, capace di decapitare la Curia romana, che parla solo italiano in tutto il mondo e che di colpo è apparso molto più dogmatico di quanto in tanti immaginavano.

A incominciare da quei vescovi, cardinali e teologi “tedeschi, nella scia di Hans Kung, l’avversario storico di Ratzinger, fortemente rappresentati dal grande riformista, Walter Kasper che già intravvedeva ben poco di cattolico nel processo sinodale, lanciato dal papa di Roma.

E invece da Roma è arrivato un forte altolà, che sarà tutto da misurare, quando il Sinodo si concluderà ufficialmente, con quella che oggi assomiglia a una retromarcia, se non una Controriforma.

Dove sono finite le grandi illusioni dei progressisti, dove si è spento l’entusiasmo di chi, dopo i primi mesi di pontificato, capito che Bergoglio non si era affatto lasciato catturare dal rimo romano, dalla Curia, che sfuggiva già così tanto da cardinale di passaggio dal mondo alla fine del mondo, pensava al uno choc down vaticano, a quello che non accadde con Paolo VI, dopo le sue prime promesse di Papa postconciliare, succeduto al mitico Giovanni XXXIII, papa Roncalli.

Cosa realmente pensa questo Papa, che ora ogni giorno invoca la pace, che vede il mondo scosso, come non era immaginabile quando la fumata bianca lo fece affacciare dal balcone per dire da dove lo avevano scelto i cardinali? Nessuno riesce a capirlo bene.

Un grimaldello per cambiare la Chiesa?

Forse il Papa ha visto il “suo” Sinodo come un grimaldello per andare ben oltre ai piani previsti dalle sue Encicliche aperturiste. Forse ha visto quel Sinodo come una specie di Vaticano III addirittura e ha frenato, mentre l’età e gli acciacchi avanzavano.

Certe sue decisioni, certe sue scelte, come quella del fedelissimo argentino, cardinale Fernandez, nominato non senza scalpore, alla Congregazione dell’ex Santo’Uffizio, che aveva “firmato” la benedizione delle coppie omosessuali, scatenando una reazione mai vista anche di cardinali scelti da Bergoglio stesso, sono stati segnali fortissimi.

Altro che le battute spontanee del tipo “Chi sono io per giudicare una coppia gay?”! Si è arrivati all’altra battuta bergogliana, forse dal sen fuggita sulla “frociaggine” di certi ambienti clericali e vaticani. E infine ecco l’eniclica “Fiducia Supplicans”, una specie di spartiacque per dire che la Chiesa non è affatto unita su tante questioni fondamentali della dottrina.

E allora dove va la Chiesa, questa Chiesa? - Se va a commuoversi davanti alla riapertura di Notre Dame di Parigi, dopo l’apocalittico incendio di cinque anni fa, sembra una Chiesa doppia. Quella della grande Cattedrale per entrare nella quale fanno la fila perfino i potenti, perfino gli atei convinti che si inginocchiano davanti al santuario, ricostruito pietra su pietra, altare su altare o sembra quella di un Papa che non ci va alla grande e commovente inaugurazione e sceglie, quel giorno, un viaggio molto laterale in Corsica e “snobba” l’Evento massimo della Cristianità Europea, assomigliando al Francesco dei primi tempi.

Eppure il Papa un po’ vacillante, che attraversa la Porta Santa, inaugurando il Giubileo, sa bene che il suo percorso non può non tenere conto di quanto è diverso questo tempo da quello di 25 anni fa, dal Giubileo del 2000, nell’orgia del “Millenial bug”, dopo il crollo dei muri, nella grande speranza del futuro, chiuso quel Novecento che aveva sfiorato l’Apocalisse degli sterminii razziali, delle bombe atomiche.

Oggi quella speranza è diversa, perché l’uomo fronteggia di nuovo una apocalisse atomica, l’umanità è in guerra quasi ovunque, ha appena visto passare sul pianeta l’incubo della pandemia. Francesco aveva affrontato quel tempo improvvisamente buio aggrappato alla Croce di quella piazza San Pietro piena di pioggia nella Pasqua del 2020, da solo, sulla porta non solo della grande Cattedrale, ma della Cristianità.

Allora viene da chiedere ancora con più forza che Chiesa sarà o che mondo sarà oggi, un quarto di secolo dopo, quando la secolarizzazione sembra avere divorato la società moderna, almeno nei suoi angoli occidentali, quelli che avevano creato l’impulso iniziale cattolico romano.

Il Papa firma una bolla giubilare di speranza. La società secolarizzata deve ancora credere nella speranza.

E qualcuno gli fa eco, tra i grandi studiosi dello spirito umano, come il monaco cistercense, oggi vescovo Erok Varden, norvegese, convertito da ragazzo alla fede cattolica e oggi una delle luci più forti. Il vescovo Varden parte dal racconto di Natale, dalla speranza di Natale, dall’attrazione della natività di Gesù, appena celebrata, a cui tutti rispondono anche senza credere, per spiegare la speranza e per concludere che siamo oramai oltre la secolarizzazione.

Non vale più il ragionamento sulla periferia della Chiesa, che pulsa più del centro secolarizzato, disumanizzato. Oggi non funziona più questo schema, per cui la Chiesa si svuota nei suoi capisaldi storici e vive principalmente nella sua periferia. La periferia è il vero centro dove la dottrina si rigenera.

E se guardiamo a Notre Dame, risorta dalla cenere delle fiamme, siamo legati al grande santuario cristiano e a un simulacro culturale. Non più a uno dei cuori della Chiesa. Non siamo più, comunque, al centro della cristianità che viaggia altrove, dove germoglia la speranza.

Dove si può allora raccogliere il grido del Giubileo, appena inaugurato? Nell’ Europa senz’anima o nell’America delle sue contraddizioni? O molto più lontano?

Certo non più in quell’Europa burocratizzata, alla quale Francesco riservava non senza ironia il nome di “nonna”, oramai invecchiata, lui sudamericano di nascita….

La speranza del nuovo cristianesimo, uscito dalla secolarizzazione europea e in parte anche americana, così piena di contraddizioni, la coltiva chi soffre di più a Kiev dilaniata, nella Nigeria delle stragi, a Ninive, dove non c’era neppure più una chiesa dove pregare.

E’ là la speranza che spinge di nuovo intorno al presepe del Natale più difficile dalla fine della Seconda guerra mondiale , mentre si combatte la Terza guerra mondiale “ a pezzi”, quella che Francesco ha visto per primo.

E allora i confini della Chiesa sembrano cambiare e prendere spinta da un altrove, rispetto a quello che costruiamo noi nel nostro centro secolarizzato, invecchiato, stanco, dove non sappiamo che fare delle chiese chiuse, abbandonate, ridotte a palestre e supermercati.

Mentre laggiù, lontano, una chiesa la sperano, se la augurano, pregano sotto le bombe e le macerie o dove un prete non arriva più e non può arrivare.

Ecco allora che il Giubileo ha un’altra luce e il Sinodo può anche sembrare una piccola Controriforma, rispetto alle aspettative e tutti questi cardinali del “global sud”, pronti per chissà quale Conclave, hanno un altro senso.