di FRANCO MANZITTI
Un nuovo partito e per Bucci tanti guai della eredità Toti.
Gira la testa sotto la Lanterna per la corsa affannosa vero le elezioni comunali della prossima primavera, quella per succedere a Bucci, o scindeco ch’o cria, diventato presidente della Regione.
E’ uno sprint molto affollato e confuso con qualche mister X già sceso in pista e altri misteriosi pre-candidati ancora nell’ombra.
L’erede, il successore designato, ma non ancora consacrato è l’avvocato Pietro Piciocchi, il vicesindaco reggente, per otto anni vice e scudiero di Bucci, oggi autolanciatosi mentre il suo ex capo deve irritualmente convocare un summit di tutto il centro destra per farlo ungere con l’olio della designazione unanime.
Mica è un capo partito il Bucci, oggi presidente della Regione, anzi. Ma deve proteggere la sua eredità molto in bilico.
La sinistra a Genova
Sull’altro versante quello della sinistra il tumulto è rovinoso. La sinistra ufficiale non ha ancora sfoderato il suo candidato, mentre va in onda una farsa vera e propria.
I vertici del Pd, usciti buggerati dal voto regionale dell’ottobre scorso, ma confortati dal successo parziale nella città di Genova dove staccano di 18 mila 500 voti il centro destra, giocherellano con i nomi possibili, indicando di soppiatto i consiglieri regionali Armando Sanna, recordman di preferenze, appena rieletto, ex sindaco di Sant’Olcese, la patria del salame doc, Leonardo Romeo, baby presidente del Municipio di Ponente, alla prima tornata regionale anche lui con boom di preferenze, Alessandro Terrile, direttore generale dell’Ente Bacini, ex segretario provinciale del PD, ultrasconfitto dieci anni fa e dimissionario e, in ultimis, la ex ministra della Difesa e donna storica della sinistra genovese, Roberta Pinotti, parlamentare fino alla penultima legislatura.
Ma è un giochetto con lo specchietto delle allodole. La Pinotti ha già negato la sua disponibilità con cortese sollecitudine. E’ diventata una grande esperta di difesa internazionale, consulente e conferenziera, chi gliela fa fare di buttarsi nell’agone comunale dopo cotanta carriera?
Orlando in campo
Gli altri nomi sono messi lì per distrarre. In realtà da quando è entrato in campo Andrea Orlando, un po’ clamorosamente rinunciatario al suo comodo seggio in Parlamento, per fare il consigliere di opposizione in Regione e il “federatore” del centro sinistra in Liguria, esiste un altro gioco coperto, che il Pd vuol fare per realizzare davvero il campo largo ed essere sicuro di battere il centro destra, che parte già con l’handicap di quei 18 mila voti di distacco alle Regionali.
E qui ci sono ben altri nomi, molto più esterni a quelli dell’apparato genovese democratico, come quelli della notissima avvocato fiscalista, Sara Armella, già presidente della Fiera di Genova, oggi legale affermatissima a livello nazionale, genovese di origine, come Francesca Balzani, ex assessore al Bilancio del Comune di Milano con Pisapia e prima di Genova con Vincenzi, anch’essa avvocato fiscalista di formazione nello studio di Victor Ukmar e anche eurodeputata, giunta seconda alle Primarie milanesi che incoronarono poi Sala e come quello di Marco Ansaldo, ex firma di Repubblica, esperto in Turchia e Vaticanista, genovese di origine, molto vicino a Orlando.
Il tentativo di Orlando è quello di trovare in tempi rapidi un candidato che vada bene anche per la sinistra-sinistra di Avs, per i 5 Stelle, immersi nel loro magmatico dopo Grillo, più complesso ancora a Genova che altrove, e infine per i centristi, che stanno diventando un soggetto molto più importante delle bizze che si fanno Calenda e Renzi.
Il nuovo centro a Genova
Infatti a Genova sta nascendo un altro movimento, che era partito con la patente di “sinistra diffusa”, con sfumature social liberali e che ora si allarga a definizioni più larghe ancora: sono, appunto, social liberali e perfino cattolici, di quelli che vanno a Milano e Orvieto alle riunioni convocati dalla “Comunità democratica” di Del Rio, Prodi e dell’astro nascente, l’ex capo delle Agenzia delle Entrate, Walter Ruffini.
La loro mira è aprire anche a Genova una grande discussione per coinvolgere l’esercito immenso dei non votanti, degli astenuti, degli “scheda bianca” e catturarli per la loro parte.
Da questo fermento sono già usciti un paio di nomi, che però potrebbero essere le civette di un candidato proposto per stare in mezzo alla scena e proporsi anche sul fronte “classico” del centro sinistra.
Il primo nome è quello di Filippo Biolè, avvocato del Lavoro, presidente dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo, leader della Comunità ebraica genovese, già motore di potenti mobilitazioni popolari, marce e azioni legali, ai tempi del crollo del Ponte Morandi.
E Andrea Acquarone, giovane giornalista-saggista, di estrazione borghese, dal nome storico, ma impegnato a sinistra, collaboratore de “Il Secolo XIX” e animatore di questo movimento.
Sullo sfondo di questo fermento c’è anche Marco Montoli, una delle teste più fresche della società civile genovese, il regista urbanistico dei Giardini Luzzatti, un’area di impegno sociale e territoriale, nata nel cuore del centro storico genovese, con fronti culturali e di solidarietà, un professionista impegnato anche su grandi scommesse urbanistiche anche a Roma e a Napoli.
Questa costola, che non si può definire in alcun modo civica e neppure di sinistra moderata, sta per uscire allo scoperto, dopo l’esposizione di Biolè, con un libro documento dal titolo provocatorio “Tocca a noi!”
Se fossi sindaco
Insomma una nuova generazione per sconfiggere il declino di Genova. Il libro viene presentato lunedì 13 proprio ai Giardini Luzzati, la “patria” di Montoli e se si leggono i nomi degli autori di ciascun capitolo, si capisce che il movimento è complesso e articolato.
A partire dallo stesso Montoli che scrive: “Se fossimo sindaco” alla vice rettore dell’Università, Adriana Del Borghi, all’esperto di sviluppo economico, Maurizio Conti, autore di un libro-bomba su Genova fuori dal Nord industriale, a Gian Enzo Duci, grande agente marittimo e uomo di traffici marittimi, al superesperto di marketing elettorale Pietro Mensi.
La postfazione di questo libello, che sarebbe meglio definire come un manifesto, è firmata Marco Doria, l’ex sindaco, il “marchese rosso”, un tocco che forse sbilancia un po’ tutta l’operazione anche se Doria a Genova vuol dire molte cose……
In questo baillamme Genova appare terremotata, non solo nelle sue viscere vere e proprie, rivoltate dai cantieri e dalle opere in corso. Queste un po’ si avviano alla loro conclusione, come il water front di Levante, ex Fiera del Mare.
Un po’ si intoppano clamorosamente come il Terzo Valico, la linea veloce ferroviaria Genova -Milano, bloccata da un giacimento di gas in un chilometro e mezzo che ha fermato due fronti decisivi di lavoro.
O come lo scolmatore del Bisagno, torrente assassino, colpevole delle peggiori alluvioni, che aspetta da due anni invano che dalla Cina arrivi la talpa scavatrice.
Un po’ vanno avanti lentamente, come la superdiga portuale della quale sono stati posati nel 2024 solo cinque cassoni, mentre dovevano essere almeno 15.
O come lo Skymetro in ValBisagno, vero asse fondamentale nella nuova mobilità urbana, tanto decantati, di cui si sono perse le tracce dei progetti, tra Genova e Roma.
O come l’Hennebique, la grande costruzione del silos granario, che incombe sulle banchine storiche, senza trovare un destino scritto mille volte.
Come la funivia che dovrebbe collegare il Porto Antico con le “montagne “genovesi del Righi, sorvolando i quartieri ombelicali della città, San Teodoro, il Lagaccio.
Progettata, bocciata dalla Sovraintendenza e dall’Ufficio Urbanistica, riprogettata, contestata furiosamente dalle popolazioni sottostanti il tragitto aereo.
In questo baillamme il presidente della Regione Bucci, diventato capo politico, sta scoprendo senza poterlo dire, che il suo predecessore Giovanni Toti gli ha lasciato problemi enormi.
Non solo quelli della Sanità trafitta dai buchi di bilancio e dagli ospedali insufficienti e troppo vecchi, ma anche quelli del grande isolamento crescente della Liguria, non solo per l’emergenza autostrade trascinata, senza che si intravvede una fine, dal 2018 del crollo del Ponte Morandi, ma per il gap nei collegamenti ferroviari, rallentati ora da tutti i lavori che riguardano le linee intorno a Genova.
Altro che treni veloci e velocetti, tanto propagandati da Toti! Ora i convogli impiegano più tempo a collegare Genova con Milano, Torino e Roma di quanto non fosse alla fine del secolo scorso. Inoltre il boom turistico, tanto decantato, si è tramutato in quell’overturismoche strangola le Riviere e le Cinque terre. Mancano non solo i collegamenti, ma i posteggi, i servizi, la qualità dell’accoglienza e soprattutto il personale.