di SALVO CATALDO

PALERMO – Dall’inchiesta antimafia di Palermo, che ha portato a 181 arresti, emerge la “flebile differenza tra lo stare in carcere o no”. La constatazione è del procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, che nel corso della conferenza stampa convocata per illustrare i dettagli dell’indagine ha rimarcato la capacità dei boss detenuti di comunicare con l’esterno.

“Le indagini rivelano che stare dentro o fuori ha lo stesso significato – ha ribadito -. La disponibilità da parte dei detenuti di avere dei cellulari per comunicare e realizzare anche dei collegamenti video pone un serio problema rispetto alla capacità effettiva di utilizzare gli strumenti del carcere per impedire la messa in atto di altri reati”.

“L’indagine di oggi dimostra tra che Cosa nostra è particolarmente attiva e presente e che dialoga con canali di comunicazione innovativi. Il blitz di oggi dimostra la vitalità di Cosa nostra ma anche capacità di reazione dello Stato – ha aggiunto de Lucia -. La mafia oggi è particolarmente attiva e fa affari, cercando di ricostituire il suo esercito per tornare a essere potente come in passato ma lo Statu sta mettendo in atto una attività di contrasto significativa”.

MAFIA TECNOLOGICA

“L’evoluzione tecnologica riguarda non soltanto i cittadini ma anche le organizzazioni mafiose, che sono ricche e in grado di acquisire know how e strumenti che le consentono di aggirare le azioni investigative dello Stato”.

La presenza di telefoni che circolano liberamente all’interno delle carceri non è una novità, purtroppo è un dato ricorrente denunciato da altri colleghi in tutta Italia”.

Le indagini che hanno portato a 181 arresti hanno portato alla luce ancora una volta la capacità dei boss non sottoposti al regime del 41bis di comunicare con l’esterno. “Se ci sono i telefonini, ovviamente c’è la possibilità di comunicare”, ha concluso amaramente de Lucia.

MELILLO: DEBOLEZZA DEL CIRCUITO CARCERARIO

“L’operazione antimafia di Palermo mostra una estrema debolezza del nostro circuito penitenziario deputato a lo contenimento della pericolosità dei mafiosi non sottoposti al regime del 41 bis”, aggiungeil procuratore nazionale Antimafia, Giovanni Melillo. “Si tratta di una evidenza emersa anche in altre inchieste – ha aggiunto -. Il circuito di alta sicurezza è assoggettato al dominio delle organizzazioni criminali, con i mafiosi che godono di una intatta capacità di comunicazione”.

La questione mafiosa va collocata al centro del dibattito pubblico che riguarda anche, ma non soltanto, la politica”. Ai giornalisti che gli chiedevano se il governo stia facendo di tutto per la lotta alla mafia o se sia possibile, da parte dell’Esecutivo, fare di più, Melillo ha risposto: “Tutti possono fare di più…”.