di FABIO PORTA

“Eu estou aqui” di Walter Salles è il primo film brasiliano a vincere l’Oscar, il più importante riconoscimento cinematografico mondiale.
È la storia del sequestro dell’ex deputato del PDT Rubens Paiva, avvenuto a Rio de Janeiro nel 1971 in piena dittatura militare e raccontato nel 2015 dal figlio Marcelo nel libro che ha ispirato il film. Un film bellissimo e struggente, grazie soprattutto alla grandiosa interpretazione di Fernanda Torres, anche lei candidata all’Oscar come migliore attrice.
È lei, infatti, la protagonista del libro e del film: Eunice Facciolla, moglie di Rubens Paiva, è la coraggiosa moglie e madre italo-brasiliana che lotterà con straordinario coraggio e abnegazione, prima per riavere a casa il proprio marito e poi per il diritto alla verità e alla giustizia.
La storia, nella sua drammaticità ma senza eccessi e forzature, racconta bene cosa fu la dittatura brasiliana dopo il golpe del 1964; la prima parte del film ci descrive infatti la normale felicità di una famiglia di classe media che viene improvvisamente squarciata dall’improvviso arresto di Rubens Paiva da parte dei servizi segreti brasiliani. Furono centinaia le vittime della dittatura brasiliana e migliaia le persone torturate; il regime militare brasiliano rimase in piedi dal 1964 al 1985, la più lunga dittatura dell’America Latina. Eppure, questa lunga pagina della storia del Paese sudamericano è stata quasi anestetizzata da una narrazione che ha spesso cercato di annacquare i suoi tratti violenti e autoritari; come se una dittatura possa essere misurata in base al numero delle persone sequestrate, torturate o uccise. Il film di Walter Salles ha quindi il merito di smascherare il negazionismo strisciante che, non soltanto in Brasile, è andato crescendo negli ultimi anni anche grazie all’affermarsi di leader e partiti dichiaratamente nostalgici di un’epoca che pensavamo relegata ai libri di storia.
“L’amnistia imposta dalla dittatura militare del 1964 – ha dichiarato il regista brasiliano – ha provocato una amnesia collettiva, permettendo che la dittatura fosse romanticizzata.”
La “memoria corta” insieme a certe letture idealizzate e fuorvianti di alcune epoche della storia sono pericoli ricorrenti nelle nostre società; prova ne sono alcune riletture del fascismo italiano o l’avanzare di forze politiche neonaziste in Germania.
Gli italiani che vivono in Brasile possono con orgoglio rivendicare che l’esercito brasiliano fu l’unico dell’America Latina a inviare truppe nel nostro Paese per liberare l’Italia dal nazi-fascismo; l’Italia poi, ha un ulteriore motivo di orgoglio nella lotta contro le dittature sudamericane: siamo l’unico Paese ad avere ospitato un grande processo internazionale contro i crimini del “Plan Condor”, il coordinamento dei regimi militari per la repressione delle libertà e della democrazia.
Verso la fine di “Eu estou aquì” un fotografo chiede a Eunice Facciolla e ai suoi cinque figli di non sorridere; il direttore del giornale per cui il fotografo lavora vuole uno scatto che sia triste come la situazione ma la donna e i ragazzi non obbediscono e sfoggiano un bel sorriso: “Vamos sorrir!” dice Fernanda Torres, affrontando la dura realtà con forza e coraggio senza piegarsi alla rassegnazione imposta dal regime. È forse la scena più emblematica del film ed è con il sorriso sulle labbra ma tanta rabbia dentro che anche Walter Salles ha gridato nella notte degli Oscar “Viva a Democracia. Ditadura nunca mais!