E' disponibile in Italia, già approvato da Aifa e prescrivibile con piano terapeutico, il primo trattamento orale (ritlecitinib) per l'Alopecia Areata severa negli adulti e adolescenti di età pari o superiore a 12 anni.
Ansia, depressione, fino all'isolamento sociale e alla difficoltà di accettare la propria immagine con un profondo impatto emotivo, psicologico e sulle relazioni sociali, e non solo una questione estetica è il vissuto di molti pazienti colpiti dall'Alopecia Areata, una patologia autoimmune complessa, che colpisce indipendentemente dall'età o dal genere e determina perdita improvvisa e non cicatriziale dei capelli su una o più aree del cuoio capelluto, o persino su tutto il corpo.
In Italia circa 120.000 persone ne sono affette ma nonostante l'ampia diffusione della patologia, finora le opzioni terapeutiche disponibili erano limitate.
La nuova molecola agisce modulando la risposta autoimmune che colpisce i follicoli piliferi, interrompendo l'infiammazione e favorendo la ricrescita dei capelli. L'efficacia è dimostrata dallo studio Allegro, un trial clinico internazionale che ha coinvolto 718 pazienti con una perdita di capelli sul cuoio capelluto pari o superiore al 50%. Lo studio ha confrontato l'efficacia di ritlecitinib rispetto al placebo, valutando la capacità del farmaco di favorire la ricrescita dei capelli e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Dopo 24 settimane, i risultati dello studio hanno dimostrato che il 13% dei pazienti trattati si trovava vicino alla remissione con una copertura del cuoio capelluto superiore al 90%, mentre il 23% aveva una copertura superiore all'80%, rispetto all'1,6% dei pazienti nel gruppo placebo. Dopo 48 settimane, il 31% dei pazienti trattati con il farmaco si trovava vicino alla remissione. Anche lo studio Allegro-Lt, condotto a lungo termine per valutare la sicurezza e l'efficacia prolungata di ritlecitinib, ha dimostrato la sostenibilità del trattamento fino a 24 mesi.
"L'Alopecia è una patologia autoimmune spesso sottovalutata che può compromettere profondamente l'equilibrio psicologico e relazionale dei pazienti, soprattutto nei giovani - spiega Bianca Maria Piraccini, Ordinario di Dermatologia all'Università di Bologna -. Ritlecitinib rappresenta un passo avanti nella gestione della malattia: è il primo trattamento orale, ed è indicato anche per gli adolescenti. Inoltre, la possibilità di somministrazione quotidiana in un'unica compressa migliora non solo l'aderenza alla terapia ma anche l'esperienza complessiva del paziente".
Particolarmente rilevante, sottolinea, "è l'indicazione anche negli adolescenti: l'Alopecia Areata spesso esordisce in età scolare o nella giovane età adulta, talvolta con una singola chiazza, ma con un'evoluzione potenzialmente rapida. E in questa fascia d'età, l'impatto psicologico è profondo".
L'Alopecia, sottolineano gli esperti, non è considerata una patologia invalidante nel senso clinico del termine, ma le sue conseguenze sul piano psicologico ed emotivo possono essere molto impattanti. A pesare ulteriormente è anche la percezione sociale della malattia, che può portare a difficoltà nelle relazioni quotidiane e, in alcuni casi, a episodi di discriminazione. Per questo, un'efficace gestione della malattia richiede un approccio multidisciplinare: "L'Alopecia non si limita alla perdita dei capelli, ma ha un impatto profondo sulla vita sociale ed emotiva - evidenzia Alfredo Rossi, associato di Dermatologia all'Università La Sapienza di Roma -. E' per questo che diventa essenziale adottare un approccio multidisciplinare, in cui il dermatologo sia il punto di partenza di un percorso che coinvolga anche il supporto psicologico e il medico di medicina generale. Significa passare dalla cura della malattia alla cura della persona. Considerato che, grazie alle recenti innovazioni terapeutiche - conclude - oggi si apre una nuova fase nella gestione dell'Alopecia, soprattutto nei casi più complessi e invalidanti, con risposte più mirate e maggiore attenzione al vissuto del paziente".
"La battaglia contro l'Alopecia Areata non è solo clinica, è anche culturale. Dobbiamo abbattere lo stigma, combattere la disinformazione. Chiediamo che l'Alopecia venga inserita nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), perché abbiamo il diritto di essere curati come qualsiasi altro cittadino italiano". La richiesta arriva da Claudia Cassia, presidente dell'Associazione italiana pazienti Alopecia and friends (Aipaf Odv) in occasione dell'evento 'Alopecia Areata: oltre le apparenze'.
"L'impatto fisico e psicologico di questa malattia - spiega Cassia - non ha ancora ricevuto la giusta attenzione. In Italia si stima che siano circa 120.000 le persone affette. È come se tutti gli abitanti di una città come Bergamo avessero problemi di perdita di capelli o peli, con livelli di gravità molto diversi. Un dato che rende visibile una patologia non sempre riconosciuta nella sua complessità". Infatti, sottolinea, "troppe persone ignorano cosa sia davvero l'Alopecia. Dobbiamo ancora spiegare che non è colpa dello stress, ma una malattia autoimmune, spesso correlata ad altre patologie come il diabete, e che non è contagiosa, anche se molti, purtroppo, si comportano come se lo fosse". A pagarne il prezzo più alto sono i più giovani. Gli adolescenti che, afferma la presidente Aipaf, "vengono bullizzati a scuola, i bambini esclusi dalla piscina perché 'fanno impressione', le ragazze che si nascondono sotto una parrucca, i ragazzi che smettono di uscire. E a volte, i primi a vergognarsi sono i genitori".
Ciò che fa ancora più male, è la sua testimonianza, "è l'incomprensione. C'è chi parla di 'capelli che ricrescono'. C'è chi dice che 'tanto ci sono problemi ben peggiori'". A tutto ciò si aggiunge in vari casi il ritardo diagnostico: "In alcuni casi l'Alopecia può essere confusa con altre condizioni dermatologiche, come micosi o patologie infettive, e questo dimostra quanto sia importante continuare a investire nella formazione e nell'aggiornamento, affinché la patologia venga riconosciuta tempestivamente e gestita con competenza e attenzione". Un inquadramento corretto, sin dai primi sintomi, conclude Cassia, "fa la differenza nel percorso di cura e nella qualità della vita di chi ne è colpito".