di Roberto Paolo*
Nei giorni scorsi l'amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, ha proposto di azzerare il fondo per il pluralismo nell'editoria per dirottare maggiori risorse sulla televisione pubblica. Il presidente della Federazione Italiana Editori Giornali, Andrea Riffeser Monti, ha immediatamente replicato che tagliare il fondo per l'editoria significa azzerare il pluralismo, condannando alla chiusura immediata centinaia di giornali che vivono con grande difficoltà questo momento.
Alcune considerazioni sono necessarie. L'apporto del canone Rai al fondo per il pluralismo ammonta a circa 110 milioni di euro e rappresenta, quindi, appena una goccia nel mare nei conti della concessionaria pubblica. Non è tanto un problema di risorse, ma di logica nell'allocazione delle risorse. La Rai è sicuramente garanzia di pluralismo e la sua storia, come le sue migliaia di dipendenti, vanno certamente tutelati. Ma sorprende che chi ha questo delicatissimo incarico possa pensare di risolvere il problema, anzi, di alleviare appena un po' il problema dei conti dell'azienda che gestisce, condannando alla chiusura altre imprese editrici, che a loro volta sono tutela di diversità, con la loro storia e con le loro migliaia di dipendenti. Il pluralismo dell'informazione per definizione è pluralità e non possono esistere figli di un Dio minore.
L'intervento di Andrea Riffeser Monti a tutela delle realtà di dimensioni minori, con particolare riferimento alle testate locali e alle cooperative giornalistiche, apre la strada ad una nuova stagione in cui non devono più esserci contrapposizioni tra gli uni e gli altri, i grandi e i piccoli, ma deve consolidarsi un sistema che nella sua complessità e con le sue differenze garantisce il pluralismo.
Purtroppo, alcune guerre ideologiche hanno fatto perdere di vista negli anni la logica dell'intervento pubblico. La sua indispensabilità per una compiuta democrazia è stata sottolineata di recente dalla Corte Costituzionale, che ha richiamato Parlamento e Governo al sostegno del pluralismo dell'informazione. Interventi sporadici hanno invece provocato effetti che hanno reso il mercato dell'editoria molto fragile. La transizione al digitale è al tempo stesso una causa della crisi e un'opportunità per il settore. Ma non è più tempo di attendere.
La concentrazione della raccolta pubblicitaria, le dinamiche di mercato degli "over the top", i fallimenti editoriali e le conseguenti concentrazioni di testate giornalistiche sono sotto gli occhi di tutti. È storia di questi giorni l'incredibile vicenda della Gazzetta del Mezzogiorno che non riesce a tornare in edicola. E del resto anche le edicole stanno vivendo da anni una continua decimazione, in un silenzio assordante o con inutili proclami, con l'effetto di rendere l'acquisto di un giornale una sorta di caccia al tesoro.
Una riforma di tutto il sistema è quantomai non solo necessaria, ma urgente. Non è più il tempo di Stati generali e simili passerelle. Il sottosegretario all'editoria Giuseppe Moles si è impegnato, subito dopo l'insediamento, a portare a compimento una seria riforma del settore. Manca solo un anno e mezzo alla fine della legislatura.
È arrivato il momento di aprire una seria riflessione politica, assieme a tutti gli operatori dell'informazione, associazioni datoriali e Federazione Nazionale della Stampa, che nasca dalla conoscenza delle tante e diverse realtà di questo settore e che giunga ad una legge che possa garantire al Paese e ai suoi cittadini cultura, diversità, conoscenza.
*Roberto Paolo
Presidente File - Federazione italiana liberi editori