Com’era prevedibile, per come sono fatti, gli sconfitti delle Comunali hanno cercato una quantità di scuse. Se la sono presa con i ritardi delle candidature. Si sono attovagliati nella nuova dimora berlusconiana sull’Appia Antica promettendo di coordinarsi meglio e di più, senza recedere dalle rispettive ambizioni che li costringeranno anche in futuro a farsi la guerra tra loro.
Meloni resterà all’opposizione del governo che Forza Italia e Lega, invece, continueranno a sostenere. Al massimo Salvini tenterà di trattare direttamente con Draghi, di fatto esautorando Giorgetti e lasciando intendere che nel governo entrerebbe lui di persona se gli venisse concesso. Probabile che Super-Mario gli lanci qualche nocciolina per tenerselo buono, ma niente di più. Soprattutto non c’è finora autocritica rispetto alla deriva estremista. Per caso qualcuno ha sentito Giorgia ammettere, o Matteo riconoscere anche solo privatamente, “sul Green Pass abbiamo commesso un errore”? Oppure, “abbiamo esagerato disgustando un bel po’ di elettori”? E infine: “Ci siamo lasciati risucchiare dal richiamo della foresta, ma non accadrà mai più”? Chiamata a smentire le nostalgie, Meloni è corsa alla manifestazione spagnola di Vox, cioè dai nipotini del generalissimo Francisco Franco; per non essere da meno, Salvini ha spalleggiato le rivendicazioni sovraniste della Polonia contro l’Unione, beccandosi un ceffone in faccia da Super-Mario perché non c’è cosa più autolesionista (e in fondo più stupida) che contestare l’Europa mentre siamo in fila per farci allungare i denari; né l’una né l’altro hanno capito la lezione delle urne.
O, se si preferisce, per ammirevole e coraggiosa coerenza non mostrano alcuna intenzione di correggere i propri connotati di destra anti-sistema e plebea, piazzaiola e complottista, niente affatto pentita anzi molto soddisfatta di sé. Loro sono come sono, e stop. Fuori posto semmai è Berlusconi. Che cosa ci stia a fare in quella comitiva sguaiata, rimane un mistero glorioso. Silvio si propone quale garante delle destre in Europa; vent’anni fa sarebbe stato plausibile, ma adesso, con l’8 per cento nei sondaggi e 85 primavere sulle spalle, può rappresentare al massimo una foglia di fico, l’alibi liberale di chi liberale non è. Renato Brunetta gliel’ha fatto presente a quattr’occhi e poi in una coraggiosa intervista a Francesco Bei su “Repubblica”: Forza Italia dovrebbe spezzare le catene imposte dalla legge elettorale e riconquistarsi la libertà di allearsi con chi ne rappresenta meglio i valori. C’è uno stato d’animo moderato che potrebbe meglio aggrumarsi con l’aiuto di Berlusconi, ma lo farà pure senza di lui, come segnala il boom di Calenda all’ombra del Cupolone.
Se Meloni e Salvini hanno l’orgoglio di restare se stessi, senza cambiare una virgola del loro operato, altrettanto a maggior ragione dovrebbe mostrarlo un quattro volte premier. Per adesso Brunetta s’è beccato un vaffa, esteso alle ministre Gelmini e Carfagna (“Non so che cosa gli è preso a questi qua”, è sbottato il Cav).
Della serie: guai a chi disturba il manovratore. La manovra è quella che dovrebbe portare Berlusconi sul Colle. Non solo l’uomo ci crede fermamente, ma si offende se qualcuno mostra perplessità. È schizzato come punto da un calabrone quando Brunetta gli ha obiettato che farebbe meglio a esercitare il ruolo del “king maker” accontentandosi, e già non sarebbe poco, della onorificenza di senatore a vita che forse in cambio gli verrebbe accordata. Inutile ragionare.
Fino a dopo la Befana, quando si riuniranno i 1009 grandi elettori del successore di Mattarella, Silvio sarà posseduto dalla libido del Quirinale. Dunque vestirà i panni del “federatore”, si stenderà a tappetino, ospiterà tutti i giorni a sbafo Salvini e Meloni pur di ottenere i loro voti sperando in una quantità di congiunzioni astrali favorevoli; che nel voto segreto non si rivolti contro la metà dei deputati forzisti, inferociti per la nomina del nuovo capogruppo alla Camera preteso da Tajani; che Toti e gli altri di Coraggio Italia non ne approfittino per vendicarsi di come erano stati trattati; che Renzi corra a dargli una mano, e pure un certo numero di ex grillini si lascino adescare (“attenzionati” in particolare i 15 transfughi di L’alternativa c’è, ma non solo loro) vai a sapere in cambio di cosa. Impresa non impossibile ma certamente complicata.
Dopodiché sono due le possibilità: o l’ex-Caimano verrà eletto presidente della Repubblica, con suicidio di massa dei suoi odiatori, oppure il sogno quirinalizio svaporerà come neve al sole. In entrambi i casi l’equivoco politico sarà chiarito. Da presidente della Repubblica, Berlusconi sarà costretto a scaricare il partito che, senza di lui, farà poca strada, praticamente nessuna; se invece verrà trombato cadrà in depressione, scomparirà dai radar come altre volte è successo. Sipario sulle sue ambizioni. Tempo tre mesi, di qui a fine gennaio, per i suoi elettori suonerà la sirena del “liberi tutti”. Nessuno avrà più la forza di trattenerli e, come scommette Brunetta, sceglieranno da quel momento l’offerta migliore.
di Ugo Magri