di Giuseppe Colombo
Si chiama tasso di posti vacanti. È l’indicatore utilizzato dall'Istat per misurare la ricerca di personale da parte delle imprese. Le ricerche sono state avviate, ma non concluse e per questo quei posti di lavoro sono rimasti scoperti. Insomma i lavoratori non si trovano. Più il tasso è alto, maggiore è il numero dei buchi negli organici di un'azienda edile invece che di un ristorante. Il fenomeno non è un nuovo perché il tasso è in risalita dall'inizio del 2020 e in valori assoluti resta sempre inferiore a quello di molti altri Paesi europei, come la Germania, ma la novità è che la difficoltà a trovare dipendenti in Italia sta diventando strutturale. L’ultima rilevazione dell’Istituto di statistica, infatti, dice che il livello dei posti vacanti nel terzo trimestre è in linea con quello, già importante, del secondo.
Dietro il tasso di posti vacanti ci sono le imprese dell’industria e quelle dei servizi. Sono alla ricerca di lavoratori con competenze elevate, ma anche basse, vorrebbero cioè assumere un tecnico-informatico ma anche un cameriere o un bagnino. Le stime sul terzo trimestre (luglio-settembre) sono ancora preliminari e non ci sono quindi i dettagli, ma quelle del secondo trimestre dicevano ad esempio che anche nei servizi non si trovano soprattutto lavoratori con qualifiche alte, quelli da impiegare in attività professionali, scientifiche e tecniche, seguite da quelli che servono alle imprese per gli aspetti legali, la contabilità e il marketing. C’è stata anche una carenza di camerieri e bagnini, tra l’altro per ragioni legate a salari molto bassi, ma è la fascia alta del mercato del lavoro a costituire la parte più rilevante del disequilibrio tra domanda e offerta.
Veniamo al terzo trimestre. Il totale dei posti vacanti, come si diceva, è rimasto stabile rispetto al trimestre precedente. Ma entrando dentro questo totale si scopre che i servizi hanno registrato un calo, seppure molto contenuto, mentre c’è stato un aumento, seppure lieve, dell’industria. Le costruzioni, invece, hanno registrato un balzo significativo. Sono soprattutto le piccole imprese ad avere difficoltà a trovare manodopera. Queste dinamiche dicono che l’attività di ricerca dei lavoratori è più forte nei settori dell’industria, a iniziare dalla manifattura, e un po’ meno intensa nei servizi. Sono movimenti che guardano a quello che sta succedendo ora, nei mesi dell’ultimo trimestre, quelli che vanno da ottobre e dicembre perché queste ricerche sono programmate prima così come uno stabilimento balneare cerca nel secondo trimestre, cioè entro giugno, i lavoratori da impiegare nei mesi estivi, al netto delle code di richieste che proseguono anche a luglio e agosto.
Le considerazioni che si possono trarre dai dati Istat sono sostanzialmente due. L’industria sta cercando di più e quindi è possibile che si realizzi un incremento dell’occupazione non solo nell’ultimo trimestre, ma anche nei primi tre mesi del 2022. Se questo incremento si verificherà lo si capirà a posteriori, ma il tasso di posti vacanti in aumento è un segnale anticipatore di questa tendenza. La seconda riflessione riguarda quello che è successo durante l’estate: se l’industria cerca di più è perché durante il terzo trimestre c’è stato un incremento della domanda di produzione. Un esempio: un’impresa riceve una commessa importante durante il terzo trimestre, deve quindi produrre di più e quindi cerca più persone. Insomma è successo qualcosa di positivo.
È invece calata la richiesta di lavoratori nei servizi. Il trend tiene dentro una discesa fisiologica perché l’autunno non è l’estate, il turismo flette, le spiagge sono vuote e gli hotel al mare o in montagna fanno fatica a riempirsi. Anche le scuole private, per citare un altra tipologia di imprese che operano nei servizi, hanno concluso a giugno i colloqui con i professori da impiegare a settembre. Tra l’altro la richiesta durante l’estate era stata anche gonfiata dal fatto che tantissimi italiani hanno scelto di trascorre le vacanze in Italia e non all’estero per via del Covid. Non c’è stato però un crollo delle ricerche dei lavoratori da impiegare nei servizi e questo aiuta a capire perché è errata la narrazione del bagnino o del cameriere che d’estate non si trovava perché preferiva non lavorare e percepire invece il reddito di cittadinanza o l’indennità di disoccupazione. La ricerca, allora come oggi, è più puntata sui lavoratori con qualifiche alte, adatti a servizi qualificati, come i servizi alle imprese.
Andrea Garnero, economista dell’Ocse, al momento in sabbatico di ricerca, dà una lettura dei dati Istat che aggiunge ulteriori elementi di analisi. “I dati - spiega - confermano che il problema dei posti vacanti esiste e si è acuito. Non ci potranno mai essere zero posti vacanti, ma gli stessi dati dicono che non è una questione estiva, legata agli stagionali e ai sussidi, ma strutturale, di mismatch tra le competenze richieste”. Qui entra il gioco il Pnrr. Lo spiega sempre Garnero: “L’impennata delle richieste di lavoratori nel settore delle costruzioni riflette l’aumento degli investimenti programmati e misure come il superbonus”. La domanda sta crescendo, ma l’offerta non si muove in linea con questo slancio. Non solo in termini quantitativi, cioè di incrocio tra le richieste e le disponibilità dei lavoratori a essere impiegati, ma anche di tempi. Il ragionamento porta a questo sviluppo: “I progetti del Pnrr, con assunzioni importanti in poco tempo, aumentano i posti vacanti: il tema è capire se alla fine questi lavoratori si trovano e entro quanto si trovano”. L’effetto indesiderato e rischioso è quello di “un aumento della quota di posti che non si riescono a riempire subito, per alcuni servirà un po’ più di tempo”. L’asicronia tra la velocità di attuare il Pnrr, di trasformare i soldi in asili nido e ferrovie, e il completamento della ricerca dei lavoratori necessari a farlo è evidente.
L’economista dell’Ocse pone un tema importante, quello del mismatch, che ha numerose ragioni alle spalle. Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro alla Bocconi, già presidente dell’Anpal, ne individua alcune che sono centrali e connesse ai dati dell’Istat sui posti vacanti. Partiamo da un dato strutturale, rilevato dall’Ocse: il disallineamento di competenze tra domanda e offerta esiste dappertutto, ma in Italia è più accentuato. Soprattutto porta a un punto di equilibrio tra domanda e offerta nelle basse competenze. Detta in modo semplice: si è abbassato il livello delle competenze nel mercato del lavoro. E questo mismatch - spiega Del Conte - “porta ad accontentarsi di produzioni, filiere produttive e competenze nella parte bassa del mercato”. Ma oltre al dato di lungo periodo c’è altro. Sempre Del Conte: “Non abbiamo un sistema di orientamento dei giovani nella scuola dell’obbligo che guarda al mercato del lavoro e quindi alla formazione funzionale all’inserimento nel mondo del lavoro. E non abbiamo, se non con numeri irrilevanti, un completamento della stessa scuola dell’obbligo attraverso percorsi di alternanza, mentre in altri Paesi europei l’apprendistato ha aiutato moltissimo a ridurre il mismatch”.
Qui ritorna il Pnrr. Va a investire su alcuni filoni con una massa di investimenti rilevante e di breve periodo (i soldi vanno spesi entro il 2026). Per l’ex presidente dell’Anpal ”è prevedibile un accentuarsi del problema del mismatch perché non si può avere un’offerta pronta rispetto a una domanda che si sviluppa su filoni in cui l’Italia è particolarmente indietro”. Il digitale e il green, che assorbono gran parte dei 191,5 miliardi del Pnrr, ci vedono indietro. L’Italia è il Paese europeo con meno laureati Stem, cioè in discipline scientifiche che vanno dalla tecnologia all’ingegneria. Mentre la Germania sforna 1 milione di diplomati Its all’anno, l’Italia si ferma ad appena diecimila. E però questa formazione tecnica che precede quella universitaria, sottolinea Del Conte, ”è quella che ti fa fare il salto di qualità su industria 4.0″.
C’è un altro elemento che accresce la dimensione qualitativa del mismatch in Italia: “Facciamo un gran fatica a pescare dal bacino molto ampio dei disoccupati, che vogliono lavorare, perché chi ha perso il posto di lavoro l’ha perso su altre competenze. Se aumenti gli investimenti, quindi la domanda delle imprese, su determinate qualifiche e competenze che non si trovano tra i disoccupati, allora devi formare queste persone”. La conclusione di questo ragionamento è che il mismatch aumenterà nei prossimi mesi perché il nostro sistema formativo non è in grado di formare queste persone in tempi brevi.
La questione riguarda anche le imprese che spesso non sanno programmare: assumono all’ultimo minuto, quando invece il bisogno è maturato da tempo. Ci sono imprese che iniziano ad aspettare pur di non assumere lavoratori con competenze non in linea con le necessità. Ma il dato di realtà è - sottolinea Del Conte - “quanto il sistema della formazione possa dare risposte specifiche, soprattutto al Sud, dove il sistema della formazione professionale è in difficoltà”.