Di Lucio Fero
Giuseppe Conte ha fatto divieto, estremo e totale divieto a donne e uomini di M5S di andare ospiti nelle trasmissioni della Rai (anche a farsi intervistare nei Tg?). Un divieto rigido e totale la cui applicazione, ci si può scommettere, durerà nel tempo tra le 24 e le 48 ore. O forse anche meno, giusto il tempo che qualcuno di M5S vada in Rai a spiegare perché M5S non va in Rai.
Il divieto di Conte, il “non andiamo più in Rai“, è la forma verbale di una stizza politicamente assai misera. Giuseppe Conte ha lamentato la perdita di una “casella” (così offendendo, se ne rendesse conto o meno, il finora direttore del Tg1 ridotto appunto a “casella”) marcata M5S. Conte ha denunciato quel che per lui è scandalo: la non totale lottizzazione delle direzioni Rai secondo appartenenza di partito.
Giuseppe Conte non è riuscito a contenere rabbia scomposta perché al Tg1 va alla direzione persona che, non politicamente connotata, non dispiace a molti dentro M5S, a partire da Di Maio. Giuseppe Conte ha gridato che capacità professionali e curriculum non contano e non valgono, anzi non devono contare e valere. Soprattutto Giuseppe Conte ha chiamato alla mobilitazione M5S per l’intollerabilità del suo dolore, il dolore di vedersi smontata pezzo a pezzo la cerchia di uomini “suoi” di quando era a Palazzo Chigi.
Non lo seguirà nessuno di M5S il boicottaggio alla Rai decretato per ripicca da Conte senza più un direttore di Tg uomo “suo”. Da M5S verranno molte parole di condanna per le nomine, molto fumus indignationis ma nelle trasmissioni Rai andranno eccome se ci andranno. Il divieto lanciato da Giuseppe Conte ha lo spessore umorale del bambino (talvolta anche adulto) che, se non gli passano la palla, batte i piedi per terra e non gioca più.
Neanche lo spessore di chi, se non gli passano sempre la palla, dice: il pallone è mio e se lo porta via. Di “suo” Giuseppe Conte non ha neanche M5S, la assoluta perdita di self-control politico, la piazzata grottesca cui ha dato vita ne sono una dimostrazione