di Ugo Magri
Se il Governo sopravvivrà all'elezione presidenziale, un'altra mina potrebbe esplodergli sotto i piedi. Ce ne siamo quasi dimenticati, ma sono in arrivo ben nove referendum: sei sulla giustizia, uno ciascuno sulla cannabis, sull'eutanasia e sulla caccia. Non tutti i quesiti verranno ammessi. La Corte di Cassazione dovrà prima controllare che le 500mila firme necessarie siano state raccolte e, specie nel caso del referendum animalista, sussistono molti dubbi (sulla giustizia invece nessun problema perché bastano e avanzano le richieste dei Consigli regionali). Dopodiché la Consulta stabilirà quali referendum sono ammissibili secondo Costituzione, con criteri che in passato hanno fatto strage. Dunque è probabile che, delle nove bombe, alla fine ne rimanga qualcuna in meno. Ma occhio al gioco delle date.
Il verdetto della Cassazione sulle firme arriverà al più tardi il 15 gennaio, quando i grandi elettori saranno riuniti per eleggere il successore di Mattarella. La Consulta si chiuderà in camera di consiglio un mese dopo, comunque non oltre il 20 febbraio, vale a dire proprio mentre la politica sarà al culmine dell'orgasmo perché, una volta eletto il presidente, dovrà decidere che fare del governo e se troncare in anticipo questa XVIII legislatura. Forti saranno, non solo a destra, le tentazioni di tornare a votare. Il via libera a un grappolo di quesiti potrebbe dare la spinta decisiva.
Cosa c'entrino le elezioni coi referendum, a prima vista non risulta chiaro. Però l'arcano si svela dando uno sguardo alla legge (la numero 352 del 1970, articolo 34, al comma 2). Stabilisce che, nel caso di scioglimento anticipato delle Camere, i referendum vadano rinviati di un anno. Nel nostro caso, anziché tenerli nella prossima primavera, se ne riparlerebbe tra il 5 aprile e il 15 giugno del 2023. Qui c'è l'aggancio con le trame politiche in corso: chi volesse evitare i referendum perché non sa che pesci rendere, perché gli bloccano la digestione o anche semplicemente perché renderebbero l'aria politica ancora più tesa, più irrespirabile di quanto non sia, quel qualcuno potrebbe farsi i suoi conti e magari approfittare del caos sul Quirinale per calare il sipario sulla legislatura; in questo modo eviterebbe di pronunciarsi sui quesiti referendari e scaricherebbe la grana sul prossimo Parlamento. Detta così potrebbe sembrare una follia; anzi sicuramente lo è perché non è così che si sfugge agli argomenti scomodi; però in passato è già successo che i referendum abbiano pesato sul piatto della bilancia e la storia, come sappiamo, a volte concede il bis.
Dunque mettiamoci nei panni dei leader per identificare "cui prodest", a chi convengano i referendum e chi invece ne farebbe a meno. Sulla giustizia non ci sono dubbi: giovano a Salvini che, non per caso, ha sostenuto la raccolta di firme dei Radicali. Piacciono da matti al Cav, molto meno a Giorgia Meloni; Conte è contrario, idem Letta perché entrambi non possono urtare i magistrati sulla riforma del Csm, sulla responsabilità delle toghe, sulla loro valutazione disciplinare, sulla separazione delle carriere, sugli abusi della custodia cautelare, sulla legge Severino per amministratori e sindaci. Perdere i referendum, per il "partito dei giudici" sarebbe una tragedia epocale. E dal momento che nei sondaggi il "sì" rischia di vincere (viaggia verso il 60 per cento), ecco un primo indizio da tenere a mente: se i principali quesiti sulla giustizia otterranno il via libera, Pd e Cinque stelle avranno un motivo in meno per scongiurare le urne, un motivo in più per affrontarle serenamente.
Su eutanasia e cannabis, invece, chi va in crisi è la destra perché figuriamoci se potrebbe schierarsi a favore; Meloni è già scatenata contro e trascinerà nel baratro pure il Capitano, perché nei sondaggi (specie sul fine vita) stravince il "sì". Ma, curiosamente, dall'altra parte non intendono approfittarne. Anzi, né Letta né Conte proferiscono verbo; finora se ne sono ben guardati e sarebbe interessante capire che cosa li frena, per quali remore rimangono silenziosi. Forse avevano scambiato i diritti civili per una passeggiata di salute; ovvero speravano di cogliere fior da fiore (sì lo ius soli e il voto ai sedicenni, no il fine vita e il suicidio assistito). Diritti civili "buoni" i primi, gli altri invece "sporchi e cattivi" perché condannati dalla Chiesa.
Quale che ne sia il motivo, tutti avranno difficoltà a confrontarsi su temi così elusivi, così complicati, spesso al di sopra delle loro qualità. E se la "Cupola partitocratica" (come Marco Pannella etichettava la Consulta) non li toglierà di mezzo, qualcuno potrebbe preferire addirittura il bagno di sangue delle elezioni piuttosto che indispettire i giudici, i benpensanti o, Dio non voglia, Papa Francesco.