di Franco Manzitti*
La notizia rimbalza per quel mare percorso all'indietro nell'alba italiana. Indietro nel viaggio che milioni di italiani hanno fatto, imbarcandosi in 14 milioni a Genova, sotto la Lanterna per quelle che si chiamavano "Le Americhe" ed erano soprattutto Buenos Aires, Montevideo e New York. Indietro rispetto a un percorso che quasi sempre non aveva ritorno, ma restava il legame forte, stretto, nostalgico ( "ma se ghe pensu.....cantavano con le lacrime agli occhi in dialetto zeneise...), indimenticabile.
La notizia è una "buona notizia" perché laggiù hanno giudicato che la giustizia è stata ristabilita. Quel senatore eletto dagli italiani d'America, Adriano Cairo, gruppo misto a palazzo Madama, non deve più sedere tra i velluti rossi nella cosiddetta Camera Alta. I suoi voti sono truffaldini, a centinaia, a migliaia truccati. Il Senato ha riconosciuto, il Senato ha cancellato.
Ma a che prezzo? La notizia rimbalza di qua e di là, da questo golfo ligure con le grandi navi lunghe trecento metri cariche di container che vanno e vengono tra il mondo e La Lanterna, a quel Rio de la Plata immenso, con la sua acqua marrone che si allarga tra Baires e Montevideo.
Qua abbiamo appena celebrato l'ennesimo 12 ottobre del Grande Anniversario della Scoperta d'America da parte di quel Cristoforo Colombo genovese, tra le ultime polemiche, le statue rovesciate a città del Messico, i messaggi di Joe Biden per compensare i "nativi" dalle violenze di una colonizzazione in cui Cristoforo non c'entrava nulla.
Qua non ci si capacitava di quelle truffe per mandare a sedersi nel Senato, dove stavano Sandro Pertini, e tutti i Grandi della storia Repubblica e la Levi Montalcini e perfino Gianni Agnelli, uno come l'oggi post senatore Cairo, eletto con più di due mila voti falsi, truccati, con la stessa calligrafia, smascherati ancora più evidentemente di come una maestra di scuola elementare fa con i trucchetti sul compito della sua classe di bambini birichini.
La notizia è buona, ma il suo contenuto molto meno, perché ben 126 senatori, seduti in quell'aula che i fascisti definivano "sorda e grigia" e oggi dovrebbe essere il tempio della democrazia (o di quel che resta di essa), hanno votato per i brogli. Hanno detto no a quel risarcimento di giustizia e di verità che la maggioranza ha restituito in una vicenda che anche quella è rimbalzata avanti e indietro tra l'Italia e gli italiani lontani, sempre fedeli a quel legame di voto così importante e delicato nel loro patrimonio umano di figli di figli di figli di immigrati che non vogliono spezzare quel filo.
Centoventisei traditori. Come puoi chiamarli e come puoi giudicare quel voto nel suo complesso, guardando all'indietro da laggiù questa Italia e la sua Suprema Istituzione Repubblicana, la Camera Alta , appunto?
Da laggiù è arrivata anche una petizione popolare con più di 5 mila firme raccolte da questo giornale, che chiedeva la decadenza. Dentro c'erano le prove della falsificazione plateale, irridente, offensiva nella forma ripetitiva della stessa calligrafia. Anche quelle firme sono tornate indietro nel percorso segnato da quella memoria, dalla nostalgia, dal ricordo che non si spegne, dalla dignità che si vuole rispettata nel nome dei valori comuni tramandati, che valgono da una parte all'altra del mare e che rimangono come scolpiti.
Centoventisei hanno girato lo sguardo da un'altra parte, hanno votato contro, hanno deposto nell'urna una scheda rovesciata rispetto alla loro coscienza, al loro ruolo di senatori con doppia responsabilità: quella di fare il loro dovere di rappresentanti del popolo e di testimoniare per difendere i cittadini più lontani, quelli che mantengono il loro diritto di votare dall'altra parte del mondo perchè il loro legame è ancora più rispettabile, più coriaceo.
Ma qual è quel Senato che vota così? Che fa passare per pochi voti un atto di giustizia e di verità tanto plateale?
Diciamo la verità: e' un Senato agonizzante, in camera di rianimazione, tenuto in vita con una cannula di ossigeno per respirare fino al 2023, in attesa della scadenza naturale della legislatura, solo perché i suoi rappresentanti vogliono mantenere lo scranno, la poltrona fino all'ultimo secondo per ragioni di bassissimo profilo, il ricco emolumento, la eventuale pensione parlamentare. Li aspettano le conseguenze della Riforma istituzionale che ridurrà drasticamente il numero dei seggi in Senato e alla Camera.
Su ciò tragicamente si regge in prevalenza l'equilibrio politico italiano di questo tempo difficile, tra la catastrofe pandemica, la speranza del Pnrr, il disfacimento di partiti e movimenti, i personalismi sfrenati di leaders che durano come candele, un governo che resiste per la figura forte e unica del suo leader, Mario Draghi.
In questo pentolone di resistenza interessata può bollire anche lo scandalo dei brogli per il voto all'estero. Si può mescolare come in una pozione avvelenata anche la truffa consumata laggiù, scheda dopo scheda.
Ora ci si può arrovellare su chi sono i 126 che hanno votato no e i 6 che si sono astenuti. Si possono fare i calcoli "politici" sulle mosse precedenti del senatore finalmente dichiarato decaduto, il suo appoggio al Conte bis.... Si può radiografare l'atteggiamento di ogni partito e di ogni Movimento, a partire da quello dei 5 Stelle, il più ambiguo.
Resta il fatto che non si può votare a favore di una frode conclamata, riconosciuta dalla magistratura, plateale. Non si può e anche in quel pentolone di veleni, dove si sta macerando non solo questa legislatura, ma la democrazia italiana, va difesa la giustizia con la maiuscola.
Perché, avanti e indietro nella rotta degli italiani che vivono lontano, ci sia sempre quella luce accesa, quel faro della Lanterna che illumina non solo la costa di Genova, la rotta delle navi avanti e indietro, ma un sacro principio di verità.
*Franco Manzitti
Giornalista, inviato speciale, scrittore - Dopo due anni da giovanissimo capo dell'ufficio stampa del ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani, nel 1975 è fra i fondatori della redazione genovese de Il Giornale. Nel 1979 entra al Secolo XIX, dove rimane fino al 1989, quando va a dirigere Il Lavoro, che nel 1992 trasforma nell'edizione ligure de la Repubblica.