di Pietro Salvatori
Stefano Patuanelli, capo delegazione del Movimento 5 stelle, ha detto che non c'è "nessuna preclusione per Draghi al Quirinale", dopo aver detto ieri perentorio "Draghi resti al governo". Giuseppe Conte ha invece tirato fuori un'idea formidabile: una donna al Colle. Chi, come, perché, con quali caratteristiche, con quale maggioranza, sono variabili tutto sommato trascurabili di fronte all'assoluto valore del poter sostituire la pochette con il santino di primo ad essersi intestato la questione femminile. Poi però fonti vicine allo stesso leader pentastellato si sono palesate spontaneamente precisando che serve "un profilo alto", e chi meglio di Draghi, che non sarà una donna ma che gli vuoi dire.
Tutto chiaro? Forse non ai senatori pentastellati, che ieri si sono riuniti in conclave e hanno in sostanza detto che si fiderebbero più di Belzebù che del loro stesso capo, e quindi Conte si porti appresso i capigruppo "in tutte le fasi della trattativa", che chissà quello poi che pasticci combina. E hanno sciolto il dubbio Draghi/non Draghi tagliando la testa al toro e votando - non si sa poi bene perché - quasi all'unanimità per una riconferma di Sergio Mattarella, e se lui ha detto giammai in fondo chi se ne frega, rimanesse dov'è perché è assoluto garante della stabilità e rimanere in Parlamento non è importante ma l'unica cosa che conta.
Danilo Toninelli chiede di "ufficializzare" la scelta del Movimento del bis del presidente uscente, non avendo forse ben chiaro che il vero nome dovrebbe rimanere coperto fino all'ultimo per non rischiare di bruciarlo (e dire che è la terza volta che si appresta a svolgere le funzioni di grande elettore), chiedendo di fatto che Mattarella diventi il candidato di bandiera pentastellato, utile a sfracellarsi magari contro Silvio Berlusconi in attesa della carta coperta, che al momento però non c'è. Un marasma nel quale Michele Gubitosa, volenteroso vicepresidente del partito, ha provato a fare chiarezza: "Mattarella è sempre stato la nostra prima scelta" (ah sì?), e dunque ben capisce la posizione dei colleghi senatori.
Il Movimento 5 stelle è semplicemente allo sbando. Palazzo Madama, che doveva essere una specie di fortino per Conte, ha chiesto di fatto un commissariamento dell'avvocato del popolo, e ha inventato di sana pianta una linea che nelle parole del leader non è mai esistita. Alla Camera le truppe fedeli al capo politico si assottigliano ogni giorno di più. L'ex premier non riesce a imporre una linea, sempre che ne abbia una, e al Nazareno iniziano in queste ore a mettere seriamente in dubbio l'affidabilità dell'alleato. Che prima sembrava voler sbarrare la strada a Draghi, poi ha capito il rischio di aprire un Vietnam dei numeri nelle votazioni che si susseguiranno a fine mese ed è tornato sui suoi passi, iniziando a ragionare dell'ipotesi con Enrico Letta cercando una successione ordinata a Palazzo Chigi, senza che se ne sapesse molto in giro perché poi il partito esplode.
Il problema è che il partito era già esploso da tempo e non c'è nessuno in giro che cerchi di raccoglierne i cocci, con Conte che si muove più da capo corrente che da capo politico, e intorno una Babele in cui l'unico comun denominatore è il disperato tentativo di non andare a casa. La "prima forza politica in Parlamento" - galloni continuamente ostentati nella narrazione 5 stelle perché di altri primi posti v'è penuria, e al massimo si può sbandierare il record di addii - non ha una proposta di metodo e di merito sul quale far sedere al tavolo alleati e non, non ha il boccino in mano, anche perché non sembra al momento capire a che gioco si stia giocando.
C'erano tempi in cui si urlava "Ro-do-tà, Ro-do-tà" animati da velleitarismo e del tutto indifferenti all'esito dello scontro, tempi in cui il Movimento pur costretto nella sua ridotta si muoveva all'unisono sulla scorta di un'idea. Otto anni dopo sono rimaste le scorte, di idee nemmeno a parlarne.