E' incominciato tutto con lo sbarco di Mario Draghi dalla motovedetta 288 della Capitaneria di Porto sulla banchina storica, davanti al mitico Palazzo San Giorgio, storia millenaria di Genova e dei suoi moli. Il premier, a una settimana dalla elezione bis di Mattarella al Quirinale, aveva scelto proprio l'ex Repubblica Marinara per la sua prima uscita sul territorio italiano, una prima in assoluto di tutto il suo regno, dopo un anno chiuso a palazzo Chigi o in qualche veloce vertice internazionale, troppo impegnato a combattere la pandemia, a costruire il Pnrrr, a sorvolare le beghe infinite della sua riottosa maggioranza, le accelerate di Salvini, i capriccetti di Giorgetti, i silenzi e i passi indietro di Letta, le fughe al centro di Toti, Calenda, Renzi, mentre dall'esterno la Meloni sbraitava la sua solitaria, sempre più solitaria, opposizione.
Ma come , perché proprio Genova per il leader confermato a capo del governo, chissà se rassegnato o preoccupato o, come lo disegnava qualcuno, irascibile, stufo di quella gabbia inesorabile? Perchè quel primo sbarco nella città del ponte san Giorgio, miracolosamente costruito in meno di due anni, della nuova diga portuale da ricostruire 120 anni dopo con i soldi del Pnrr, cambiando faccia al porto, alla città, nella metropoli del sindaco manager, Marco Bucci, il più amato degli italiani, ma anche della rissa esplosiva tra il presidente Giovanni Toti, e i suoi alleati di Lega, Fratelli d'Italia, Forza Italia, che lo accusavano di giocare a fare il "Superman", l'"Uomo ragno", spadroneggiando nella politica nazionale e in quella ligure, con un dominio assoluto e con troppe deleghe di governo?
Con il suo impeccabile abito grigio, la cravatta perfetta in colore tenue, rigorosamente senza cappotto, anche a bordo della Motovedetta 288, malgrado il vento maligno di scirocco, Draghi sbarcava a Genova incurante di tutto questo, sorvolandolo anzi con il suo stile, pronto perfino a aprirsi nella commozione vera davanti ai parenti delle 43 vittime del ponte Morandi, che aspettavano da lui conforto e garanzie, ancora a tre anni e mezzo dalla tragedia, mentre le polemiche infuriano sugli 8 miliardi dello Stato ai Benetton e alle loro società, per la revoca della concessione e proprio mentre il Grande Processo ai 59 indagati, oramai quasi imputati, vomita dall'aula speciale del Tribunale di Genova le peggiori nefandezze dell'Aspi e delle altre società targate Benetton nella gestione delle autostrade intorno a Genova e, ovviamente, su quel maledetto ponte abbandonato alla sua incuria, alla sua corrosione, infine al suo crollo, mentre ingegneri, burocrati e controllori di ogni livello facevano finta di mantenerlo, tanto per non pagare i prezzi dei lavori extra e per aumentare i profitti.
Aveva perfino abbracciato con gli occhi lucidi Egle Possetti, la portavoce dei parenti delle vittime, il grande Mario Draghi, dopo essersi fermato a lungo a leggere, uno per uno, i nomi scolpiti nella lapide, sotto il nuovo ponte, dei 43 martiri del Morandi.
E lo aveva fatto sotto lo sguardo del sindaco Bucci, autore principale della rapida ricostruzione e di Toti, che aveva vegliato sulle operazioni eccezionali di demolizione e nuova costruzione, l'uno commissario alle opere di ripristino, l'altro a quelle di emergenza.
Un timbro del premier al modello Genova, nato da quel blitz sui disegni di Renzo Piano e poi sulla perizia rapida di Fincantieri, Impregilo, oggi Webuild, Italferr, sotto il controllo di Rina?
Molti se lo sono chiesti se quello sbarco genovese, e poi la visita sotto il ponte e poi l'altro blitz nel tunnel del Terzo Valico, il grande cantiere, il più grande cantiere italiano, per scavare una galleria di 35 chilometri, la più lunga in Italia per collegare ferroviariamente quel porto pulsante al grande entroterra dei traffici lombardi, piemontesi,svizzeri, basso germanici, sfidando i colossali porti nordici di Aversa, Rotterdam e Amburgo, aveva, quello sbarco, un altro senso.
Molti si chiedevano se questo blitz era anche per solidificare la candidatura bis di marco Bucci, che nell'ultima settimana di maggio o in giugno si giocherà la rielezione sotto la Lanterna, in quella che per circa quaranta anni è stata la roccaforte rossa per antonomasia, il dominio incontrastato dei partiti di Sinistra nel disegno della città.
Domanda dalla risposta impossibile da parte di un personaggio del calibro di Draghi, imperturbabile, anche se prodigo di apprezzamenti per il porto di Genova, per le scommesse che il Pnrr rende concrete nelle modificazioni della città, la decarbonizzazione delle banchine, la loro elettrificazione, la digitalizzazione dei dati proprio con i cavi delle nuove bande in arrivo a Genova e le altre opere kolossal che stanno segnando la città-modello.
Impossibile risposta anche proprio perché nel giorno in cui Draghi sbarcava e andava affrontare le istituzioni e sopratutto gli uomini e gli imprenditori del porto e dei trasporti, in quel salone di san Giorgio, a pochi metri dal quale i genovesi di settecento anni fa tennero prigioniero il veneziano Marco Polo, che ne approfittò per scrivere il Milione, a Genova stava diventando ufficiale il nome del concorrente di Bucci alla conquista di Genova.
E usciva da una infinita diatriba tra i partiti del centro sinistra e le sue 12 _ leggasi Dodici_ sigle, le mosche intorno al Pd, il nome autorevole dell'avvocato Ariel Dello Strologo, avvocato di 54 anni, presidente della Comunità ebraica, cresciuto professionalmente nello studio del leggendario avvocato Mauro De Andrè, fratello di Fabrizio e vicino più a uno establishment moderato e progressista, che non alle disperse forze di una sinistra che a Genova ha preso negli ultimi anni schiaffoni spaventosi da un punto di vista non solo elettorale.
Conquistata la roccaforte rossa, ridotte a sparire o quasi per destini diversi le figure dei leader precedenti, da Claudio Burlando, ex sindaco, presidente, ministro, autoesiliatosi a raccogliere funghi nei boschi e coltivare verze negli orti, alla sventurata Marta Vincenzi, ex sindachessa, condannata ingiustamente per i morti dell'ultima alluvione letale, unico caso in Italia, "autodeviatasi" tra i renziani Raffaella Paita, già pulzella di Burlando, ex assessora , candidata alla Regione, travolta da Toti, dalla dissidenza di un calibro come Sergio Cofferati, diventato genovese ed ex eurodeputato, che gli autoctoni ex Pci hanno sempre arginato nel ruolo di saggio, consigliere dall' esterno, senza sfruttare la sua classe di politico e grande leader sindacale di un tempo che fu.....
Insomma marginalizzata in questo modo con la botta finale dell'ultimo sindaco targato Sinistra, il marchese Marco Doria, marchese Rosso, sessantaduesimo discendente di Andrea Doria, solitario e final, quella faglia di Sinistra-Centro, oggi ritenta con Dello Strologo una "remontada" molto difficile.
Non per la capacità del prescelto, che i suoi partiti hanno impiegato mesi e mesi a estrarre dall'urna di manzoniana memoria. Ma perché il terreno che Mario Draghi è venuto a battere, in un umido giorno di febbraio, è abbondantemente arato da Bucci e dai suoi, anche se un po' traballanti alleati, che va avanti come un bulldozer.
"Miliardi" e "cantieri" a tutto spiano sono le parole chiave di Bucci e dei suoi. Dello Strologo deve sparare subito una narrazione diversa, se vuole combattere bene una battaglia di Genova, che comunque diventa contendibile, sia per le divisioni litigiose del centro destra, sia perché il quadro sociale è cambiato, al di là degli slogan bucciani su "Genova Meravigliosa" e ripopolata di cittadini e imprenditori.
Sotto il vestito delle nuove opere, dei lavori pubblici, dei progetti a getto continuo, delle idee sparate alzo zero in ogni angolo della città, dei "fatti", non parole, rivendicate dal "sindecu cu' cria", il sindaco che grida, Genova soffre e non solo per la pandemia e i suoi esiti.
Non solo per il suo isolamento, accentuato dal disastro autostradale e dall'incapacità di migliorare i collegamenti ferroviari con Torino, Milano, Roma, Bologna.
Ma proprio per una povertà che cresce, per diseguaglianze accentuate, che quel vestito non può coprire, per una insufficienza dei servizi sociali, un deficit di iniziative culturali e spettacolari.
Riuscirà il lib-lab Dello Strologo, estraneo e autonomo alla politica, professionale, anche se un po' inciampato nella vicenda spinosa del trasferimento dei depositi petroliferi, perché membro di un cda favorevole a un trasferimento violentemente combattuto da una parte della popolazione, a costringere Bucci, l'americano, a parlare di politica, ora che ce ne è bisogno e a non sfuggire in avanti con le sue parole d'ordine efficientiste, manageriali, in slang yankee?
Se la battaglia di Genova è incominciata con lo sbarco di Mario Draghi, continuerà con altri sbarchi e con scontri sulla terraferma, in aria e in mare. Una vera battaglia. Finalmente.
Franco Manzitti