di Giulia Belardelli
Da giovedì scorso, il tempo non scorre più come prima: è passata una settimana dall’invasione russa dell’Ucraina, ma sembra molto di più. La guerra ha cambiato l’unità di misura del tempo. Alla stessa velocità, sta cambiando gli equilibri dell’ordine internazionale, già diverso da quello di prima. La maggioranza schiacciante (141 sì, 5 no e 35 astenuti) che si è espressa all’Assemblea generale dell’Onu contro Mosca parla chiaro: se l’aggressione russa è insostenibile quasi per tutti – ad eccezione di Bielorussia, Siria, Eritrea, Corea del Nord – per 35 Paesi - più un’altra decina che non ha partecipato al voto - prendere posizione è complicato. E anche tra chi ieri ha votato a favore la risoluzione contro Mosca, ci sono cambiamenti e sfumature importanti.
Proviamo a vederne qualcuna. A votare contro sono stati solo paesi interamente dipendenti dalla Russia: Bielorussia, Siria ed Eritrea, con l’aggiunta del regime di Kim Jong-un. “Gli astenuti non devono essere letti come indice di ulteriore isolamento della Russia”, osserva Riccardo Alcaro, coordinatore delle ricerche dell'Istituto Affari Internazionali (IAI). “Nessuno – a parte i quattro di cui sopra – può sostenere apertamente la Russia, ma tutti la guardano per capire come va. Soprattutto, ci sono un sacco di paesi per cui rompere con la Russia non è nel loro interesse: non è nel loro interesse sostenere Mosca nella sua avventura ucraina, ma non lo è neanche rompere di punto in bianco”.
Abbiamo non solo la Cina – la seconda potenza economica mondiale – ma anche democrazie come India e Sud Africa. “La Russia in Europa è una potenza revisionista, autocratica e anti-liberale, ma nel resto del mondo è una potenza come le altre, ed è considerata un interlocutore che può fornire dei vantaggi molto significativi sui piani della sicurezza e dell’appoggio diplomatico. È un attore che aveva una certa reputazione: Putin aveva costruito un record di politica estera che era un successo dopo l’altro. Ora c’è da vedere cosa succederà”. Partiamo dal Medio Oriente. “Qui si deve guardare il comportamento di Turchia, Egitto, Israele, Arabia saudita, Emirati e Iran: nessuno di questi si è schierato a favore della Russia, nemmeno l’Iran, che si è astenuto”, osserva Alcaro.
Il punto è che, negli ultimi 6-7 anni, la Russia ha costruito una solidità di rapporti con tutti nella regione: turchi, israeliani, iraniani, sauditi, emiratini. Nessuno di questi paesi vuole rompere fino in fondo. Gli Emirati Arabi Uniti si sono astenuti la settimana scorsa al Consiglio di sicurezza, anche se ieri hanno votato a favore. Anche paesi come Arabia Saudita, Israele, Brasile hanno votato sì ieri, ma dopo enormi titubanze. “La Turchia ha avuto diversi contrasti con la Russia: in Siria, in Libia, in parte nel Corno d’Africa e nel Caucaso. Malgrado tutto, hanno sempre trovato il modo di ricucire”, ricorda l’analista. “Erdogan e Putin si vedono come spiriti affini: Erdogan ha lo stesso tipo di disprezzo di Putin verso l’Occidente. Mosca gioca un ruolo fondamentale in Siria, oltre ad avere un ruolo nel Mar Nero, nel Caucaso, in Azerbaijan, in Armenia. La Turchia non vuole rompere del tutto con la Russia, tant’è che non si è unita alle sanzioni, ma si è espressa più decisamente di ogni altro Paese - e prima - contro l’invasione e aveva anche venduto droni all’Ucraina”.
Israele è in una situazione simile, ma ancora più ambigua: ha rifiutato di vendere l’Iron Dome agli ucraini, mentre gli americani avevano detto sì, ricorda l’analista. “La Russia finora ha avuto un ruolo di contenimento alla frontiera siriana, tenendo a bada Hezbollah e i Pasdaran e soprattutto girandosi dall’altra parte quando gli israeliani li informavano che andavano a bombardare una base di Hezbollah”, osserva Ugo Tramballi dell’Ispi. “I russi hanno subito reagito alla presa di posizione israeliana contro l’avventura militare in Ucraina: venti minuti dopo la dichiarazione del ministro israeliano contro la guerra, l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite ha detto che Mosca si oppone all’occupazione della West Bank e non riconosce l’occupazione del Golan. È la posizione di buona parte del mondo, ma Putin non l’aveva mai manifestata finora”.
La Siria di Bashar al-Assad non può che appoggiare in tutto e per tutto il Paese che ha tenuto in piedi il regime. Ed è proprio sulla tenuta della Siria – o meglio, dello sforzo militare russo in Siria – che si giocherà buona parte del futuro internazionale di Mosca. Come spiega Riccardo Alcaro: “In Siria la Russia ha costretto tutti, tenendo in piedi Assad, a rivedere i propri piani. Prima dell’attacco a Kiev, era in corso un processo di ri-associazione di Assad alla comunità degli Stati arabi”. Bisognerà vedere quanto sia sostenibile l’impegno militare russo in Siria, nel medio e lungo periodo, alla luce di sanzioni strangolanti e dello sforzo bellico in Ucraina (che potrebbe protrarsi a lungo, anche in caso di “vittoria”, con l’enorme sfida del controllo di un territorio ostile). Se la Russia cessa di essere l’attore fondamentale in Siria, tutto si rimette in gioco.
Poi c’è l’Iran. “L’Iran ovviamente ha un legame pragmatico molto forte con la Russia: non si piacciono ma si rispettano come attori geopolitici puri. La Russia è fondamentale nella gestione dell’accordo nucleare. Finora Mosca è stato un partner abbastanza costruttivo: proprio in questi giorni sapremo se l’accordo sul nucleare verrà riattivato o meno; se sì, sarà anche grazie agli sforzi russi”. Tutto si lega al discorso generale di quanto la Russia sarà in grado di sostenere una politica di azione sul piano globale. “Mosca – spiega Alcaro - non ha mai avuto le risorse per avere una vera e propria politica globale, come gli Stati Uniti, come stanno iniziando ad avere i cinesi e come hanno in parte gli europei. Ha però le risorse per agire sul piano globale, un po’ da tutte le parti: i russi sono impegnati a Cuba, in Venezuela, sempre più in Africa, tantissimo in Medio Oriente, ovviamente in Asia centrale”.
La domanda è: quanto sarà possibile, per Mosca, mantenere questo impegno? Probabilmente continuerà a svolgere un ruolo tramite il Wagner Group, compagnia di sicurezza privata russa che tutti sanno essere legata a doppio filo al Cremlino. Si tratta di mercenari che vengono assoldati da governi (soprattutto in Africa) per la garantire la propria sicurezza: lo hanno fatto nella Repubblica centrafricana e recentemente in Mali. Sono intervenuti in Libia al fianco del generale Kalifa Haftar e prima dell’invasione anche in Ucraina. Naturale dunque che Tripoli abbia votato a favore, a differenza di molti governi africani che sono tra la maggioranza degli astenuti: Algeria, Angola, Burundi, Repubblica centrafricana, Congo, Guinea equatoriale, Madagascar, Mali, Mozambico, Nambia, Sengal, Sud Africa, Sud Sudan, Sudan, Uganda, Tanzania, Zimbabwe. A questi si aggiungo Burkina Faso, Marocco, Tongo ed Etiopia, che non hanno votato.
Gli effetti della guerra sull’Asia sono l’argomento più interessa agli americani. La Cina sta seguendo questa situazione con grandissima attenzione. “Probabilmente Pechino non ha ancora preso una decisione tra tenere la linea della dichiarazione Xi-Putin di febbraio oppure modificarla”, commenta l’analista IAI. “Xi ha una prossimità molto forte in termini di visione del mondo e mentalità a Putin. Sicuramente la Cina può tenere a galla la Russia. Se per esempio si arriverà alla riduzione delle importazioni di petrolio dalla Russia, la Cina potrebbe aumentare la sua quota. Ma c’è anche un’altra strada, ovvero che la Cina decida di essere più cauta, cercando una piattaforma di nuovo dialogo con gli Stati Uniti. Di sicuro non mollerà la Russia del tutto, e questo spiega l’astensione”.