L'impatto economico dell'invasione militare lanciata dalla Russia sull'Ucraina inizia a essere toccato con mano nell'Ue. Ennesima quanto superflua dimostrazione della cecità che ha guidato il suo sguardo negli ultimi vent'anni, allettato quasi esclusivamente da dispute di natura fiscale necessarie a garantire la stabilità economica e negligente verso tutte le questioni che interessavano il controllo strategico delle sue catene di approvvigionamento, l'Unione Europea e chi ne fa parte oggi scopre i guasti della sua sottovalutazione che paradossalmente mette a rischio quella stessa stabilità finanziaria inseguita per anni. La grave dipendenza energetica da Mosca rende impossibile per Bruxelles affrancarsi in poco tempo dalle forniture di gas e petrolio, ma al tempo stesso la espone a un rincaro dei prezzi mai visto prima che non è circoscritto ma contagia una vastità di settori. La chiusura dei porti ucraini, le sanzioni e i blocchi all'export di prodotti alimentari innescati dal conflitto chiudono il cerchio. Il risultato è il rischio di "effetti devastanti per l'economia globale", per usare le parole del Fondo Monetario Internazionale. In Italia già se ne vedono i primi segnali.
I rialzi dei prezzi si ripetono da settimane, non nascono con l'invasione ma la guerra ora li sta intensificando, portandoli su livelli impensabili. Dopo l'ipotesi di un embargo all'acquisto di greggio dalla Russia, il prezzo del Brent è salito ancora, arrivando a fine mattinata a 125 dollari il barile, 123 per il Wti. Più costa il petrolio, più costa il carburante. La benzina in modalità self ha sfondato la soglia dei 2 euro al litro. Secondo Assoutenti per un pieno di verde occorre mettere in conto una maggiore spesa da +21,9 euro, mentre un pieno di gasolio è rincarato di 23,2 euro. Su base annua la maggiore spesa a famiglia solo per i rifornimenti raggiunge +525 euro in caso di auto a benzina, +558 euro in caso di auto diesel. A pagarne le spese non sono solo i cittadini ma le imprese che hanno nel carburante un costo fisso non aggirabile. Oggi non sono usciti in mare, restando ancorati in banchina, i pescherecci in diverse regioni che hanno aderito a un'iniziativa autonoma delle marinerie italiane di sciopero generale, della durata di una settimana. Hanno aderito alla protesta nelle Marche, a Chioggia, a Fiumicino, in Liguria e in altre aree della penisola. Il costo eccessivo del gasolio unito ad altri problemi del comparto rendono perciò insostenibile la pesca, e per una settimana il pesce fresco sui banconi italiani resterà a portata di pochi.
In ginocchio anche il settore del trasporto che solo pochi giorni fa aveva lanciato uno sciopero su tutto il territorio nazionale con blocchi stradali e proteste. Con la benzina a due euro per litro, per le aziende del comparto passeggeri tratta di un aumento dei costi di circa 300 milioni di euro su base annua, "una situazione assolutamente insostenibile", secondo Giuseppe Vinella, presidente di Anav, l'associazione di Confindustria che rappresenta tutti i comparti del trasporto con autobus. Stesse criticità per il trasporto merci su gomma: "È del tutto evidente che nessuna impresa di autotrasporto, nonostante le migliori intenzioni, può sostenere un tale aggravio dei costi", denuncia Assotir.
Nessuno è risparmiato dal caro bollette e dalla carenza di materie prime. Da settimane ormai Assocarta denuncia le difficoltà nel portare avanti la produzione. Perché il gas viene impiegato non solo nella produzione di energia che alimenta i macchinari ma anche nei processi produttivi. Le industrie cartarie fanno girare macchinari a ciclo continuo, impiegando grandi quantità d’acqua. Ma poi la carta va asciugata col vapore prodotto dal metano. Il gruppo cartario Pro-Gest di Ospedaletto di Istrana (Treviso), a fronte dell'incremento del costo del gas, ha deciso oggi di fermare la produzione in tutte le sei cartiere in Italia. "Vendiamo la carta a 680 euro a tonnellata - ha spiegato il presidente, Bruno Zag - ma per produrla oggi occorrono 750 euro soltanto per il gas". Se nell'arco di qualche giorno il quadro non sarà rientrato in margini compatibili con la redditività, aggiunge ancora Zago, "procederemo con la richiesta di Cassa integrazione per i dipendenti". Il gruppo Pro-Gest oggi impiega in Italia circa 400 addetti.
Il conflitto militare sta esacerbando le criticità innescate dalle interruzioni delle catene di fornitura causate dalla pandemia e da cui l'economia globale non si era ancora del tutto ripresa. "Mette a rischio" la ripresa economica dell'Italia nel 2022 che stava peraltro già rallentando a fine dello scorso anno per il problema dell'energia il quale si è ora "aggravato", ha avvertito domenica il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Le sanzioni decise da Europa e Stati Uniti contro Mosca costeranno un prezzo a oltre 440 imprese italiane che lavorano in Russia fatturando 7,4 miliardi. Volendo calare questi ragionamenti sul territorio, viene facile l'esempio delle Marche, che nel 2020 hanno esportato in Russia merci per un valore di oltre 274 milioni di euro. In particolare, il comparto calzaturiero del fermano esporta, verso questa destinazione, circa il 90% delle sue produzioni, ha spiegato la Regione. Nello specifico, "nel 2020, le Marche hanno esportato verso la Russia principalmente prodotti del settore calzaturiero, per un valore di oltre 91 milioni di euro, che rappresentano una quota del 33,3% sul totale delle esportazioni delle Marche verso questo Paese. Queste esportazioni, inoltre, costituiscono il 27,2 % di quanto esportato dall'Italia, in questo settore, verso la Russia". I danni saranno patiti anche dal settore del lusso, particolarmente attrattivo per i consumatori di un certo ceto di Mosca, nel quale l'Italia ha un ruolo di rilievo grazie ai suoi prodotti Made in Italy.
Ma chi teme di soffrirne di più sono il ceto medio e le fasce più basse della popolazione italiana. Sia sotto forma di un'inflazione che è attesa crescere ancora - c'è chi parla del 7% per il 2022 se non si fermano le tensioni militari nell'est Europa, sia per la capacità di accedere a prodotti alimentari che si teme possano scarseggiare. Lo scoppio della guerra ha alimentato i timori di un protezionismo alimentare. In risposta alle sanzioni Mosca ha deciso di bloccare l'esportazione di fertilizzanti: stando ai numeri forniti da Coldiretti, la Russia produce più di 50 milioni di tonnellate all'anno di fertilizzanti, il 13% del mercato mondiale. "Putin - ha ricordato la Coldiretti - aveva già deciso di imporre il divieto all'esportazione fino ad aprile di nitrato di ammonio, prodotto fondamentale per la concimazione del grano, di cui rappresenta da solo circa un quarto dei costi complessivi di coltivazione, mettendo in difficoltà anche la produzione europea di cereali. La conseguenza è una riduzione generale - spiega Coldiretti - della disponibilità sui mercati che, oltre a far schizzare in alto i prezzi mette di fatto a rischio la produzione europea di grano, a partire da quella italiana". L'urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%).
La guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia continuano a incidere anche delle materie prime. Il rialzo maggiore è del Nichel che ha visto un balzo del 16%. In tensione anche l'alluminio (+3,6%) e il rame (+3%). Corre pure il palladio che sale del 14% attorno ai 3.390 dollari all'oncia. Non sono risparmiate, soprattutto, le materie prime agricole con i forti rialzi di grano e mais. La guerra ha spinto al record storico il prezzo del grano, cresciuto del 40% in una settimana di conflitto. Il contratto future trattato alla Borsa di Parigi ha superato per la prima volta i 400 euro a tonnellata. Il governo ucraino ha sospeso le esportazioni di segale, avena, grano saraceno, miglio, zucchero e sale adatti al consumo umano. Quote zero anche per l'export di bovini vivi e carne. Il rischio per l'Italia è di avere difficoltà di approvvigionarsi di prodotti agricoli visto lo stop alle importazioni da Russia e Ucraina che pesano per il 6% sul grano tenero e per il 15% sul mais che arriva nel Paese. Vale la pena ricordare che l'Italia importa il 64% del suo fabbisogno di grano e il 53% del mais. Non solo: come conseguenza del blocco dei porti sul mar Nero, l'Ungheria ha deciso di bloccare a sua volta l'esportazione di grano. Da Budapest arriva circa il 30% del grano tenero e il 32% del mais consumato in Italia, sempre secondo i numeri Coldiretti. "Notizia gravissima", attacca Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, "se si considera che ogni anno l’Italia importa dall’Ungheria oltre 600 milioni di euro di cereali ( dato 2021)".
Se l'invasione dell'Ucraina avrà successo, la Russia controllerà alla fine circa il 29% delle esportazioni mondiali di grano tenero per la panificazione, il 19% del commercio del mais destinato all'alimentazione degli animali negli allevamenti e circa l'80% dell'olio di girasole impiegato per la produzione di conserve, salse, maionese, condimenti spalmabili da parte dell'industria alimentare, oltre che per le fritture.
Tirando le somme, il blocco ucraino vale mezzo miliardo di prodotti agroalimentari (dati 2021) e riguarda soprattutto l'olio di girasole per un valore di circa 260 milioni di euro, il mais destinato all'alimentazione degli animali per oltre 140 milioni e il grano tenero per la panificazione per circa 30 milioni. I costi del grano impattano, seppur in parte minima, su pane, prodotti da forno e da pasticceria, ma uniti ai costi di elettricità, gas, carburante per la logistica, imballaggi affossano l'industria della panificazione e la distribuzione, secondo la Cia-Agricoltori Italiani.
Quanto alla Russia, l'Italia ha esportato nel 2019 beni per quasi nove miliardi di dollari. Mentre ne ha importati per un valore di 16,7 miliardi. Ovviamente la voce maggiore è da ricondurre ai combustibili fossili: sui 16 miliardi di import, il 36% è rappresentato da greggio, una quota analoga dal gas, e un 10% da prodotti petroliferi raffinati. Il restante se lo dividono metalli in ferro e alluminio, o preziosi come il platino. Oggi diverse forniture indispensabili e strategiche sono minacciate dn Paese che, seppur economicamente non all'avanguardia, ha dalla sua il controllo di quote determinanti di materie prime sia alimentari sia energetiche. Armi che può dispiegare in attesa che le sanzioni economiche dell'Ue facciano collassare l'economia russa. E anche in quel caso non è detto che bastino a fermare l'avanzata russa e la pioggia di missili sull'andito che separa Mosca da Bruxelles.