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di Fabio Luppino

Al netto di tutti gli evidenti errori, dalla formazione messa in campo da Mancini, da Barella, Insigne e Jorginho inguardabili, da Gianluca Mancini che non si può mettere a comandare la difesa in una partita così importante per il calcio italiano, a Immobile immobile, al fatto di aver mandato in tribuna i migliori giocatori del momento, Zaccagni, Zaniolo e Scamacca, tra l'altro con qualche centimetro in più nel momento in cui non riesci a superare l'impenetrabile difesa della Macedonia del Nord sempre perfettamente schierata, al netto di tutto questo, quindi, c'è anche un problema tecnico non secondario a spiegare la disfatta dell'Italia: l'incapacità ormai diffusissima nel calcio italiano di effettuare un tiro forte, di collo pieno, quelli che si portano dentro anche il portiere e 9 su 10 entrano, spaccano le difese, dicono della voglia intrinseca di portarsi a casa la partita, guarda caso espressa proprio dal tiro che ci ha affondati, un missile terra terra di Trajkovski che è andato proprio lì dove doveva andare, toccando terra al momento opportuno per diventare imparabile.

Quanti tiri hanno fatto gli Azzurri, molti. Ma quelli potenzialmente decisivi tutti senza cuore, flebili come il momento psicologico appena messi i piedi in campo. Berardi e Pellegrini su tutti hanno avuto le occasioni per chiudere la partita, ma hanno sbagliato, sempre e solo per tirare con quel maledetto, inutile piattone, invece di indirizzare con forza verso la porta. E' un terribile unfit di tutto il calcio italiano: indirizzare per forza il tiro, anche da fuori area, anche dal lato estremo dell'area. Il tiro di piatto a rientrare è terribile e infallibile ma bisogna saperlo fare e se non sei perfettamente in equilibrio (anche psicologico) lo sbagli. E' vero che i palloni erano più pesanti, ma negli anni Settanta e Ottanta i centravanti davano del tu al pallone colpendolo in pieno, di collo: Riva, Chinaglia, Boninsegna, Di Bartolomei, Pruzzo, Anastasi, Pulici, lo stesso Rossi, più prossimo a noi, Totti. Poi c'erano gli esteti, ma per loro il pallone era un'altra filosofia ancora. Dalla foglia morta di Mariolino Corso, alla necessità virtù di Massimo Palanca (piede piccolo), a Franco Causio, Claudio Sala, Evaristo Beccalossi. Poi sono arrivati altri campioni del tiro a rientrare di destro e di sinistro, ma con una potenza davanti a cui i nostri tacchini bagnati di oggi impallidiscono, tra tutti Sinisa Mihajlovic e Alvaro Recoba. Tanta roba.

Adesso no. L'ostinazione con il piattone snatura il calcio dentro l'area di rigore e ieri quando qualcuno ha tentato il tiro piazzato si è quasi sempre trovato con una posizione del corpo sbagliata, indietro, fuori baricentro, per cui tiri sempre orientati male, alti o fuori. Si perde anche perché si perde il senso del calcio antico perché questo è uno sport dove si può inventare poco a livello tecnico stilistico: o l'arte ce l'hai o non ce l'hai. E la prevalenza del piattone è l'emblema di una lunga fase di transizione nel cui mezzo c'è solo la vittoria degli Europei. Prima e dopo buio, ogni volta che le squadre italiane e la stessa nazionale si sono confrontate con il calcio mondiale. E, allora, iniziamo con l'abolirlo o usarlo solo quando è necessario, il piattone. Serve più coraggio per tirare un calcio di rigore.