Franco Esposito
In tilt la filiera del latte, gli allevatori annunciano che dovranno mandare al macello il quattro per cento delle vacche. Sfiniti da una battaglia che ormai va avanti da mesi, i produttori di formaggi Dop come la mozzarella di bufala campana combattono una sfida per la sopravvivenza. L'aggressione russa in Ucraina ha fatto schizzare ai cieli i prezzi della filiera del latte da mucca e di quella bufalina. Sono aumentati i costi dell'energia elettrica e di gas, mais, mangimi, trasporti e imballaggi. La battaglia è diventata impari.
Il settore bufalino attraversa un momento addirittura più difficile di quello vaccino, già in ginocchio di suo. Coldiretti lancia l'allarme, laddove in realtà ne ribadisce i contenuti preoccupanti in circolazione da mesi. “Per gli animali è la peggiore crisi alimentari dalla seconda guerra mondiale”. Luce e mangimi a peso d'oro, non si sa come uscirne. Sempre che esista davvero una via d'uscita.
Letali effetti produce il caro energia. Frutta e verdura a prezzi folli, 2.000 euro in più a famiglia. Si impenna l'inflazione annua, ora al 6,7%. Il livello più elevato dal luglio 1991. Bollette e prodotti di largo consumo mai così in tensione da vent'anni.
L'erosione del potere d'acquisto è molto forte anche negli Stati Uniti (6,4%), in Spagna (9,10) e in Germania (7,3).
“Conviene ucciderle le mucche. Per resistere ho dovuto mandare al macello due vacche ancora produttive, non avevo i tremila euro necessari per il pagamento dell'ultima bolletta dell'energia elettrica”, ammette Salvatore Romano, allevatore di Goia Sanitica, nel Casertano. Il suo caso non è isolato. In tutta Italia si stanno mandando alla macellazione fino al 10% di vacche da latte.
“Il prezzo del mais è passato in soli tre giorni da 27 a 44 euro al quintale, e la guerra in Ucraina ha innescato casi di chiara speculazione”. Il canto dolente è del presidente regionale di una delle associazioni di categoria. Michele Liverani è con il fratello Filippo il titolare di uno dei mangimifici più importanti del Sud Italia. “Ad un allevatore non si può riconoscere più di 44 centesimi al litro, mentre per la produzione non occorrono meno di 52 centesimi”.
Riconosciuta da tutti come un'eccellenza, la produzione di mozzarella bufalina rischia di bloccarsi. Infatti è a rischio la sostenibilità economica delle aziende produttrici. Avevano resistito al Covid, mostrando grande capacità di resistenza: raggiunti nel 2021 una produzione di 54 milioni di mozzarella, pari a un miliardo di bocconcini in giro per il mondo.
Adesso la filiera bufalina vive un autentico paradosso, evidenziato e sottolineato dal Consorzio di Tutela della Mozzarella di bufala campana Dop. “Abbiamo potenzialità di crescita – riconosce il presidente Domenico Raimondo, al quarto mandato alla guida del Consorzio – come dimostra anche la produzione di gennaio 2022, più sei per cento su base annua. Ma siamo costretti ad assistere a un progressivo impoverimento della filiera”.
Rincari su rincari, si va avanti così da mesi ormai. La guerra in Ucrania ha provocato il raddoppio delle spese di gas ed energia elettrica, unitamente si rincari di trasporti, logistica e imballaggi. “Incideranno per un dieci per cento sui bilanci delle aziende. Abbiamo richiesto un adeguamento dei prezzi sul mercato. Ma il, guaio è che fatichiamo a farci riconoscere questa grave difficoltà dalla grande distribuzione organizzata: non basta non aumentare l'inflazione nel carrello della spesa del consumatore, bisogna anche garantire la giusta reddività alle aziende”.
La guerra in Ucraina è fonte di una dimenticanza. Quella che in Francia le vendite di mozzarelle hanno superato per la prima volta nella storia quelle del ce amembert, mito agroalimentare die transalpini. Una botta non di poco conto, dopo aver impiegato, i produttori italiani, anni per farsi apprezzare in tutta Europa. Sarebbe poi difficile raggiungere mercati lontani, a cominciare dagli Stati Uniti. Dove la mozzarella di bufala è un simbolo del made in Italy a tavola.
Dolenti, angoscianti parole anche quelle della filiera di latte di vacca, dal Nord al Sud. Oltre al mais, la macinata è schizzata da 35 a 65 euro. “I costi sono di fatto raddoppiati”, lamenta Lorenzo Brugnera, della Latteria Soligo, produttrice del Soligo Oro dal 1883. “Vogliamo parlare del gasolio utilizzato in agricoltura? Nel giro di un paio di settimane siamo passati da 60-65 centesimi al litro a 1.40, più del doppio. E nonostante questi spaventosi rincari, il prezzo del latte è rimasto lo stesso”.
Allevatori e produttori etichettano il difficilissimo momento come “la tipica situazione di non ritorno”. Ritengono di vivere a un bivio molto pericoloso, che non consente alternativa oltre a quella “o si chiude o dobbiamo indebitarci fino al collo”. Un vero dramma, con la prospettiva che possa mutuarsi addirittura in tragedia economica. “L'aumento dei costi di mangimi come il favino e il pisello proteico, così come quello degli integratori alimentari per il bestiame, sta registrando incrementi che arrivano anche al cento per cento”.
L'intero comparto zootecnico è a rischio collasso. Riguarda novemila allevamenti nella regione Puglia. In Lombardia i profitti dei produttori di latte sono prossimi al tracollo. La prospettiva amara è di avere il trenta per cento delle vacche in meno. La Lombardia assicura da sola la metà della produzione latterio casearia nazionale.
Le bufale mangiano ovviamente tutti i giorni e vanno munte tutti i giorni. Ma se non ci sono i soldi per foraggio e altro, difficilmente si potranno evitare le ipotesi peggiori. Perfino i consumatori finali di latte potrebbero non trovarlo sempre. Le stalle chiudono e la prospettiva concreta è di perdere 12-15 milioni milioni di quintali di latte. Il 10% della produzione nazionale. I danni sarebbero irreparabili.