di Roberto Penna
La guerra, anche quando si esauriscono tutte le possibilità di confronto diplomatico ed essa diventa inevitabile, è sempre un pessimo affare. La guerra è sempre brutta ed è quasi banale sottolineare una cosa del genere. Del resto, a chi può piacere un conflitto armato? Solo i serial killer provano godimento nell’uccidere, ma si tratta di persone mentalmente malate, eppure negli scontri fra eserciti o casa per casa viene fuori talvolta il peggio di persone ritenute sane di mente fino a poco tempo prima. Le guerre, anche per chi ne esce poi vittorioso, provocano lutti, civili e militari, distruzione di città e infrastrutture, danni economici rilevanti.
Oltre alle tante atrocità, non sempre la verità riesce a venire a galla perché spesso l’informazione deve cedere il passo alla propaganda di una o di entrambe le parti in causa. Si combatte con le armi, ma anche con le bugie. L’aggressione russa all’ucraina è almeno caratterizzata da alcuni punti fermi, incontestabili, al netto di chi si ostina ancora, per una radicale convinzione ideologica, per malafede o per ingenuità, a giustificare in qualche modo le scelte di Vladimir Putin. È giusto, per carità, coltivare sempre il dubbio e voler approfondire con la propria testa le notizie, ma fin dall’inizio del tentativo scellerato di invasione deciso dal Cremlino un aspetto fondamentale è stato costantemente chiaro e piuttosto difficile da essere interpretato in più modi. Ovvero, la natura del tutto illegittima dell’intervento militare voluto da Putin, che ha violato illegalmente i confini di un Paese sovrano. Stanno emergendo adesso, dopo più di quaranta giorni di presenza delle truppe russe in territorio ucraino, prove e testimonianze di efferate brutalità commesse dai soldati di Vladimir Putin ai danni dei civili. Uccisioni a sangue freddo di persone inermi, anche di bambini a quanto pare, stupri, torture. Tali atrocità sono venute e stanno venendo alla luce in quei centri urbani, per così dire, satelliti di Kiev, facenti parte dell’Oblast, la regione, della capitale ucraina. Città come Bucha, Irpin, Borodyanka e Makariv, diventate tristemente famose in tutto il mondo.
Come è noto, i russi si sono ritirati da questi luoghi e nel momento in cui le autorità ucraine e i media internazionali hanno potuto accedervi, beh, si sono imbattuti nell’inferno. Le truppe “zeta”, prima di andarsene, hanno voluto lasciare qualche macabro ricordo, e anche qui ci sono più certezze che dubbi. Immagini satellitari, video di droni, prove esibite da media indipendenti, finanche russi come Meduza, testimoniano come i cadaveri giacessero sulle strade, in particolare nel caso di Bucha, già da prima della liberazione di queste località. Perciò, i crimini sono avvenuti durante l’occupazione russa delle periferie di Kiev. Del resto, serve più a Putin che a Volodymyr Zelensky spargere terrore presso la popolazione. La guerra, per quanto sia un avvenimento drammatico e terribile, dovrebbe avere, una volta li aveva, dei limiti, dei paletti, ma se si decide di accanirsi deliberatamente contro i civili e i disarmati di ogni genere, saltano tutte le regole e diventa fattibile qualsiasi nefandezza.
Le azioni dei russi in Ucraina ricordano in buona parte le gesta dei serbo-bosniaci comandati da Radovan Karadžić, presidente della Repubblica serba di Bosnia, e Ratko Mladić, capo militare, e sponsorizzati da Slobodan Milošević, durante l’assedio di Sarajevo, dal 1992 al 1996. Allora, un po’ come i russi di oggi nelle principali città ucraine, i serbo-bosniaci, nella cornice di tutte le tensioni della moribonda Jugoslavia, assediarono pesantemente la città di Sarajevo, ne distrussero la maggioranza degli edifici e conquistarono importanti postazioni militari, ma non riuscirono a espugnarla in maniera totale. Diedero così vita a una sorta di guerra punitiva, massacrando innocenti attraverso la pulizia etnica. Srebrenica rimarrà una delle pagine più buie della storia europea.