di Ugo Magri
Nell’epoca delle prove di forza, Giorgia Meloni ha messo gli alleati di centrodestra davanti a un dilemma che, brutalmente sintetizzato, suona così: “O mi riconoscete come leader, oppure ciascuno andrà per la sua strada”. Accettarne la leadership significherebbe riconoscere che, in caso di vittoria elettorale, sarà lei e non altri a guidare il governo. Con l’impegno esplicito (magari nero su bianco) a designarla per la poltrona di premier nelle prossime consultazioni al Quirinale, in modo da rendere semi-automatico il conferimento dell’incarico perfino nel caso in cui Sergio Mattarella volesse scavare nei dubbi di Salvini e Berlusconi.
Seconda conseguenza: Matteo e Silvio dovrebbero mettersi da subito a sua disposizione per sostenerla fino in fondo nell’impresa, pianificando come lei desidera liste, campagna elettorale e tutto l’ambaradam. Questo è ciò che Meloni pone come diktat, o perlomeno così l’hanno inteso ai piani nobili di Forza Italia e Lega. Della serie: “Lei vuole dare le carte con tutti noi disciplinatamente in riga che le pendiamo dalle labbra. Pretende la capitolazione del Capitano e desidera che il Cavaliere d’ora in avanti si dedichi a fare il nonno”. In caso contrario scatterebbe la rappresaglia.
Quale sarebbe la vendetta di Giorgia? Lei stessa l’ha messo in chiaro nel suo exploit milanese: “Vogliamo dare un orgoglio a questa nazione. Pensiamo e speriamo di farlo con il centrodestra, ma lo faremo comunque”. Dunque anche da soli, senza i parenti-serpenti di centrodestra. La minaccia è di rinunciare agli apparentamenti nei collegi uninominali per Camera e Senato, che con la legge elettorale vigente rappresentano circa un terzo del totale. Con il centrodestra al voto in ordine sparso, molti di questi 221 collegi finirebbero a sinistra e la grande vittoria svanirebbe; ma tra il donare sangue a finti amici che la rifiutano come premier e il mettersi in proprio all’opposizione, la Meloni pare non abbia dubbi, meglio questa seconda. Così perlomeno ha fatto sapere a Salvini e Berlusconi. Conferma chi li frequenta quotidianamente: “O fanno ciò che lei desidera su tutto quanto le fa più comodo, e nel frattempo si lasciano rastrellare i voti da Fratelli d’Italia, o in caso contrario verranno scaricati entrambi”. Giorgia non ci farebbe un gran guadagno, questo è sicuro; ma perlomeno diventerebbe leader dei perdenti come la rivale Marine Le Pen in Francia; loro invece, senza alleanza con Fd’I, perderebbero molti più seggi di quanti ne getterebbe al vento la Meloni (così risulta da certe stime riservate). Nella corsa del gambero sarebbero quei due i vincitori, magra consolazione.
Perciò Matteo & Silvio si stanno dando da fare. Avrebbero due vie d’uscita. La prima: una riforma elettorale in senso proporzionale, dove ciascuno prenderebbe ciò che gli spetta e tanti saluti a casa. Sarebbe il “liberi tutti” dal giogo delle alleanze, tanto a sinistra quanto a destra. Ma non è detto che Giorgia ci stia, tantomeno Enrico Letta. Forse sì, magari no, dipende. La nuova legge andrebbe approvata in autunno, col Parlamento indaffarato sulla Finanziaria e sul PNRR, chissà se ce ne sarebbe il tempo. Anche qui, vai a indovinare (ma la previsione è no). L’altra uscita d’emergenza è quella di cui si va discutendo nei conciliaboli tra Forza Italia e Lega, ufficialmente dedicati alla revisione del Catasto (ma com’è ovvio, nessuno ci crede). Consiste in un listone unico tra i due partiti che, sommati insieme, potrebbero superare quello della Meloni. Se il sorpasso riuscisse, lei non avrebbe argomenti da far valere; dovrebbe mettersi in riga per le stesse ragioni che oggi sta rinfacciando agli altri due. Difatti Salvini insiste per sommare le forze con Berlusconi e, incontro dopo incontro, tenta di rammollire il Cav. Secondo alcune fonti, ci starebbe quasi riuscendo.
L’inconveniente è che i listoni raramente regalano gioie, più spesso causano dolori. Nella quota proporzionale 2+2 fa quasi sempre 3 perché meno liste si presentano e meno sono i candidati che spingono, sgomitano, acchiappano voti; un’unica lista tra Forza Italia e Lega significherebbe boom degli esclusi, cioè di ex onorevoli che strillano, di scontenti che aspettano rancorosi in riva al fiume. I moderati “azzurri” si sentirebbero prigionieri di Salvini, e viceversa. L’ala critica di Forza Italia cercherebbe di accasarsi altrove, sarebbe inevitabile una scissione. Per cui Giorgia, che conosce perfettamente i suoi polli, li sfida a mostrare le carte. È sicura di averle migliori. Dopo averle tentate tutte per non avere una donna sola al comando, i due maschietti dovranno rassegnarsi. E quando comanderà lei, non farà prigionieri.