Da Mertens a Koulibaly. Al Mondiale in Russia appare la grande bellezza. Una pennellata napoletana. Una prodezza belga. Un orgoglio sarriano. Il gol dipinto da Dries Mertens, l’abitante di Palazzo Donn’Anna, nella porta del Panama.
Nel primo giro di partite è il gol più bello con l’uguale exploit del brasiliano Coutinho contro la Svizzera. Una sventola a botta calda, un impatto felice con la palla, il colpo infuocato di un obice nel gesto tecnico di Coutinho. Da fuori area, da sinistra a destra e il pallone che vola nell’angolino alto più lontano. Forza, abilità, audacia balistica.
Tutt’altra altra fattura il gol di Mertens, da destra a sinistra, un tiro al volo anche il suo, dentro l’area. Ma è stato come il colpo di pennello di un pittore sulla tela.
Se Coutinho è andato d’intuito alla battuta, Mertens ci ha pensato un attimo, ma ci ha pensato. Ha mirato l’angolo, ha fatto rotare il pallone per superare il portiere, ha voluto il gol.
Coutinho ha segnato a occhi chiusi, Mertens a occhi apertissimi, mirando il palo lontano, quasi avvertendo il portiere dove avrebbe messo la palla.
Un calcio al pallone, quello di Coutinho, un irresistibile calcio. Un colpo d’artista quello di Mertens, pensato e voluto, pensato in un nanosecondo, ma pensato, volendolo assolutamente, preciso come l’ha pensato.
È stato il quindicesimo gol in nazionale di Mertens sei anni dopo il suo primo centro contro l’Olanda a Bruxelles.
Ai due gol d’autore su azione, sia Coutinho sia Mertens hanno ripreso un rinvio della difesa avversaria, si deve aggiungere l’esecuzione magica di Cristiano Ronaldo sul calcio di punizione contro la Spagna, infilando il pallone nell’esigua fessura della barriera spagnola, aggirandola e mandando la palla a cinguettare nel nido sinistro di De Gea, a fil di palo.
Sono i tre gol della grande bellezza che è apparsa in Russia, i tocchi magici che infiammano le partite, l’incantesimo di prodezze contro ogni legge fisica, il timbro personale di tre campioni molto diversi tra loro.
La grande bellezza. Forse una fissazione di noi napoletani al terzo anno di Sarri. Ma ecco la grande bellezza di Kalidou Koulibaly al suo esordio mondiale (ventiseiesima presenza in nazionale).
Quel suo personalissimo primo lancio sulla palla al centro contro la Polonia, le sventagliate a lanciare il contrattacco dei Leoni della Teranga, i suoi compagni d’Africa.
Non gli fa ombra Lewandowski, il cannoniere del Bayern. Lo doma di testa. E mira il lancio sulla destra dove correva Callejon e avanzava Hysaj.
Al Luzhniki Stadium di Mosca corre Sadio Mane e avanza Moussa Wague. Il leone azzurro a testa alta in questo Mondiale. La testa di Kalidou nel cielo di Mosca fra le stelle del Mondiale.
Sul campo opposto, l’eleganza di Piotr Zielinski in un centrocampo polacco pesante, lento, un po’ vecchio. Splende la giovinezza di Piotr. Cuce il gioco “alla Hamsik”. Si propone, si inserisce.
I suoi tagli profondi sono lampi di classe. Un lottatore quando serve. Milik subisce la soggezione di Lewandowski, ma schizza e avanza nella ripresa. Con una zampata sotto porta sfiora il gol prima di uscire a venti minuti dalla fine.
Ma è un pomeriggio danzante senagalese. La corsa morbida e potente che ricorda il futbol bailado del Brasile anni Cinquanta.
Ha vinto il Senegal, prima squadra africana a vincere in Russia. Vince con uno scricciolo di portiere, Khadim N’Diaye di Dakar, 33 anni, un fisico da ciclista e un’orribile maglia viola.
Viva, viva ‘o Senegàl cantava Pino Daniele. Bellezza africana. Con la Polonia più vicina nel finale, Koulibay spazza in corner.
Che cos’altro in Russia? La grande vecchiezza della Germania, la grande presunzione del Brasile, la grande giovinezza della Francia e la grande sindrome dell’Argentina cui non riesce la Messi in moto.
Viva, viva ‘o Senegal.
Mimmo Carratelli