Poche risorse finanziarie e umane, mancanza di informazione, bizantinismo burocratico, scarsità di servizi: ecco gli ostacoli a una massiccia partecipazione degli italiani all’estero alla prossima consultazione referendaria. Non è cosa da poco, perché potrebbe costituire la scusa per applicare la sciagurata opzione inversa anche alle elezioni politiche del 2023, in cui il drappello dei parlamentari gli eletti all’estero si ridurrà dai già troppo pochi 18 a soli 12 fra Deputati e Senatori. L’opzione inversa, come sappiamo, consiste nell’imporre al cittadino residente fuori dai confini di comunicare ufficialmente, alle sedi diplomatico-consolari di riferimento, la volontà di votare.  L’opzione inversa, invocata da chi, a parole, vuol prevenire i brogli, si traduce, nella sostanza, in un massiccio meccanismo organizzativo di capibastone che registrano soltanto coloro di cui potranno pilotare il voto o addirittura raccogliere le schede per votarle a favore di questo o quel movimento o partito che dir si voglia. Cominciamo riepilogando i fatti: entro le ore 16:00 di giovedì 9 giugno, gli italiani residenti all’estero e quelli temporaneamente presenti (che ne abbiano fatto richiesta al proprio Comune entro l’11 maggio) voteranno i cinque quesiti del referendum abrogativo del 12 giugno, proposto dalla Lega e dal Partito radicale in materia di giustizia. La Costituzione italiana, infatti, sancisce all’Art. 75: “È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. Noi del Gruppo Cattaneo non vogliamo suggerire come votare, anche se la nostra scelta consiste in cinque convinti e sonori NO, per garantire l’onestà e la trasparenza dei  candidati alle elezioni politiche e amministrative; la protezione dei cittadini; la libertà nell’esercizio delle funzioni di giudici e pubblici ministeri; l’indipendenza della Magistratura. Quest’ultima è stabilita doppiamente dalla Costituzione, all’Art. 101: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge”, e all’Art. 104: “La Magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente”, come riflesso anche nelle competenze del Consiglio Superiore della Magistratura (Art. 104 e Art. 105). Scriviamo per deplorare la maniera in cui gli elettori all’estero sono stati informati in proposito. Fuori dall’Europa, l’unico strumento d’informazione davvero disponibile dappertutto a tutti i cittadini non digitally native è RAI Italia (già RAI International), che sta perseguitando  i telespettatori di 5 Continenti con la costante ripetizione di un elegante messaggio, del tutto incomprensibile a chi non sa già che cos’è il referendum abrogativo; quali sono i cinque quesiti; che cosa significa rispondere SÌ oppure NO; come si deve gestire il materiale contenuto nel plico; che cosa vuol dire che si devono “restituire” le schede votate entro le 16:00 del 9 giugno; come si fa richiesta di un duplicato se non si riceve il plico. La RAI ha l’obbligo di “parlare” un italiano corretto, per promuovere e diffondere l’uso della nostra lingua in tutta la sua bellezza, ma ha anche il dovere di spiegare le cose in modo che anche la zia Genoveffa o lo zio Marcovaldo riescano a capire le informazioni che, in questo caso, sono fondamentali. Il messaggio non elenca i contenuti del plico né la maniera in cui si devono votare le singole schede né il fatto che non si deve apporre la propria firma o inserire i propri dati, che renderebbero riconoscibile – e quindi nullo – il voto. La RAI mette a disposizione anche la ben condotta serie di “Confronti” a cura  di RAI Parlamento, le Tribune referendarie i cui i fautori del SÌ e del NO dibattono fra loro con interventi della ferrea durata di 1 minuto e repliche di 30 secondi. Anche in questo caso, però, non sempre le spiegazioni si riferiscono strettamente al tema in discussione. Spesso sono invece trattate come un’opportunità di fare una personale  ruota del pavone nel tentativo di proporsi alla candidatura nelle prossime elezioni politiche. Oltre ai problemi di comprensione dei quesiti e dell’importanza della propria scelta, gli italiani all’estero stanno pagando lo scotto dei ritardi nell’arrivo dei plichi, delle imposizioni burocratiche per la richiesta di un duplicato, dei tempi biblici della riconsegna delle schede votate, specie nel resto del mondo non europeo e nei Paesi in cui le Poste non funzionano. Il Ministero degli Esteri, sottostaffato e già ansimante dopo la fatica delle elezioni di Com.It.Es. e CGIE aveva preventivato che il costo dell’operazione referendaria, realizzata con tutti i crismi, sarebbe stato di 54 milioni di Euro all’estero, pur chiedendone soltanto 31, ma si è visto assegnare un gruzzoletto iniziale di soli 24 milioni di Euro. Non sappiamo se quest’ultima cifra sia stata integrata e di quanto. Fra una decina di giorni conosceremo i risultati, scoppieranno le solite diatribe sull’arrivo di sacchi di schede non accompagnati da un responsabile della circoscrizione consolare o ambasciata di riferimento. Nelle intenzioni di chi lo ha deciso, lo spoglio dei voti in cinque città diverse dovrebbe eliminare il caos della concentrazione a Castelnuovo di Porto dell’esame delle preferenze espresse nelle consultazioni politiche all’estero. Come notate, stiamo usando verbi al condizionale e ci auguriamo che si realizzino le più rosee previsioni. Ma non ne siamo così certi. E, mai come ora, i risultati di una votazione extra moenia hanno avuto altrettanta importanza nel proteggere o assassinare il pieno esercizio della democrazia da parte degli emigrati italiani nel mondo.     

(CARLO CATTANEO)