E’ vero che un po’ di fatalismo, diciamo in dosi omeopatiche, aiuta a vivere: esagerare tuttavia serve solo a ingannare noi stessi, per esempio quando confidiamo nel fatto che se un tumore deve venire alla fine verrà, e quindi giù con alcol e sigarette, vai con banchetti e maxi confezioni di bibite gassate ecc... Non è così, le degenerazioni cellulari sono il più del volte non prevedibili, l’incidenza dell’ereditarietà resta alta, fino a che la scienza non avrà esaurito lo spettro delle sue ricerche, dovremo chiamare tutto questo sfortuna, o un castigo architettato chissà dove, ma tutta questa sfortuna incide per il 60%, non di più.
Uno studio di grande impatto e lunga incubazione condotto in Francia (Centre international de recherche sur le cancer, CIRC) ha stabilito che il 41% dei tumori sopravvenuti nel 2015 sugli adulti con più di 30 anni poteva essere evitato: cioè non era scritto da nessuna parte, non era “bad luck” come si ostinava a dichiarare ancora nel 2015 uno studio americano (Johns Hopkins School of Medicine) di grande presa mediatica.
4 tumori su 10 sono da attribuire a fattori di rischio certi e nominabili, e cioè stili di vita scorretti e esposizione a particolari ambienti. Lo studio francese è importante rispetto a quelli precedenti anche perché ha allargato la gamma di questi fattori a 13 causalità, includendo per la prima volta il consumo di carne rossa e insaccati, o le esposizioni professionali per esempio agli scarichi dei motori diesel. Siamo quello che mangiamo, lo diceva il filosofo Fuerbach e lo intuivano i nostri nonni: non c’è motivo per dubitare allora che “non saremo” per ciò che abbiamo mangiato in eccesso, fumato scriteriatamente, bevuto come non ci fosse un domani.