di Dimitri Buffa
Giuseppe Conte è quello che è. E di per sé non è un granché. Almeno come uomo politico. Ma questa ansia di rivalsa nei confronti di Mario Draghi, che invece è una risorsa del Paese, questa voglia di vendetta, malcelata e consumata sulla pelle di tutti noi, rischia di fare di Giuseppi un Conte di Montecristo fuori tempo massimo. Anzi... di un Conte leader – si fa per dire – citando un capitoletto di "Storia della vendetta. Arte della vendetta e vendetta nell'arte" di Antonio Fichera, un bellissimo libro edito da "la Lepre edizioni" di Alessandro Orlandi, che è quel tipo di personaggio che fa della vendetta uno status symbol.
Ecco che allora l'associazione di idee diventa gioco di parole ed è strano che nessuno abbia ancora affibbiato a Giuseppi l'etichetta di Conte di Montecristo, il "vindice" per antonomasia. Certo, il si parva licet deve avere tenuto lontano gli opinionisti dai paralleli storico letterari. Ben altra tempra di vendetta e di vendicatore nel Conte di Alexandre Dumas, recluso per anni nelle segrete stanze di un'isola dimenticata da Dio e dagli uomini rispetto a quella che si può constatare nel Conte trovato sulle "Pagine gialle" da Beppe Grillo alla voce "possibili premier".
E, tuttavia, l'aspirazione a piegare tutto il mondo intorno a sé all'unica volontà di vendetta presenta analogie che non si possono ignorare. Ovviamente, però, se il primo Conte di Montecristo era un personaggio da tragedia, il secondo – quello odierno – presenta tutti i connotati della farsa. Ed è quello che è. Appunto.