"La scelta alle elezioni del 25 settembre è chiara: o noi o Meloni". In una lunga intervista a Repubblica, Enrico Letta lancia la sfida alla destra: "Trasformeremo le 400 feste dell'Unità previste in tutta Italia da qui al voto in luoghi di dibattito, ma anche di chiamata ai volontari. Ne metteremo insieme 100 mila e li guiderà Silvia Roggiani. Ad agosto saremo in tutte le città semideserte, nelle periferie, per parlare con chi in vacanza non è potuto andare. Porteremo la solidità delle relazioni umane e le nostre proposte. Come recitava l'ultima frase di Berlinguer, sarà una campagna casa per casa, strada per strada".
La domanda è inevitabile, quando parla di "noi" a chi si riferisce? Il Pd punta a una lista "aperta ed espansiva" di "democratici e progressisti". E si dà due settimane di tempo per capire chi ci sta. La porta è aperta a "chi porta un valore aggiunto, chi si approccia con spirito costruttivo e chi non arriva con veti".
E allora si parte. Calenda? "È il più consistente dal punto di vista dei numeri e ha svolto in Europa un lavoro interessante e in parte condiviso. Discuteremo con lui con spirito costruttivo". Speranza? "Spero possa candidarsi nella lista aperta del Pd. Glielo chiederò". Di Maio? "Con lui sicuramente continuerà il dialogo". Renzi? "Parleremo con tutti". Gli ex di Forza Italia come Brunetta, Carfagna, Gelmini? "Certo. Lo dico anche a coloro che a casa mia storcono il naso. Meritano apprezzamento". E Conte? "No. Il percorso comune si è interrotto il 20 luglio e non può riprendere, è stato un punto di non ritorno. Lo avevo avvertito che non votare la prima fiducia sarebbe stato lo sparo di Sarajevo".
Letta definisce un "tormentone" il dibattito sull'Agenda Draghi, "si tratta di un punto di partenza e non del programma della coalizione. Per un motivo semplice: nel governo di unità nazionale c'era anche la Lega e dunque nel programma non c'erano misure che noi avremmo voluto, come per esempio lo ius scholae. Noi vogliamo andare molto più avanti, sul lavoro, sulla giustizia sociale, sulla lotta alle disuguglianze e sui diritti". In campagna elettorale bisogna "rendere evidente che parliamo di due Italie profondamente diverse", marcare la distanza da Meloni & Co. "Certo potrei parlare di rischio fascismo, ma non farò una campagna sugli -ismi, bensì su fatti concreti. Chi ha fatto cadere il governo è già costato agli italiani una quattordicesima, perché è tramontato il taglio del cuneo fiscale che avrebbe dato ai lavoratori un mensilità in più a fine anno. Lo riproporremo nel nostro programma".
Altro tema, chi è il candidato premier. Sulla Stampa Andrea Orlando afferma che se il centrosinistra prevarrà alle urne, Enrico Letta sarà presidente del Consiglio. Letta non pone condizioni: "Ho già avuto il privilegio di essere a Palazzo Chigi, non è la mia ossessione tornarci - replica Letta - Sul tema si deciderà nei modi e nei tempi opportuni. Questo è il momento di mettere anima e corpo ed è chiaro e che io me la gioco tutta, fino in fondo".