di Villy De Luca
“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano” cantava Antonello Venditti. In politica non funziona così. Il “consenso” è un mostro freddo, spietato, non concede quasi mai seconde occasioni. Per informazioni chiedere a Matteo Renzi e Matteo Salvini, caduti sul campo dell’azzardo della riforma costituzionale e dei pieni poteri. Assumersi dei rischi non è di per sé sbagliato; non tutti possono trasformarsi in dei “Sor Tentenna” stile Zingaretti. Ma serve calma e gesso, pazienza, e lucidità per centrare l’obiettivo.
Giorgia Meloni può farcela. In questi anni ha dimostrato di avere le qualità necessarie. Nel 2018 il suo partito raccolse poco più del 4%, oggi i sondaggi lo stimano tra il 24 e il 25 per cento, guida di un centrodestra che potrebbe raccogliere quasi il 50% dei consensi. La crescita di Giorgia è stata lenta e costante, un consenso solido alimentato dalla coerenza politica, premiato dalla scelta di tenersi fuori dal governo ai tempi dell’esperienza giallo-verde, dall’opposizione dura ma responsabile nei confronti del Conte II e del governo Draghi. La presidente di Fratelli d’Italia non ha vissuto le fiammate salviniane, il costante dentro-fuori che ha portato la Lega sulle montagne russe: dal 34% delle Europee del 2019 fino all’attuale 12% attestato dai sondaggi.
Costruire un moderno partito conservatore e proporre una seria alternativa di governo. Il primo obiettivo è stato raggiunto - come dimostra il recente avvicinamento a FdI di personalità del calibro Tremonti, Nordio e Zoppas - per il secondo servono voti e accordo sul programma con gli alleati della coalizione. Il consenso sembra lo scoglio meno difficile da superare: nonostante la costante demonizzazione mediatica, tutti i sondaggi al momento vedono il centrodestra saldamente in testa. Una coalizione che oscilla tra il 45 e il 50% dei consensi e quindi con i numeri necessari a governare. Il centrosinistra è rinfrancato dall’ingresso nell’alleanza con Pd e sinistra di Azione di Calenda, ma se anche dovesse reggere l’insolita aggregazione che va dalla Gelmini a Fratoianni, il centrosinistra al momento - stando alle rilevazioni - non supera il 33% dei consensi. Anche in caso di alleanza “giallorossa” Pd-5 Stelle non andrebbero oltre il 36%.
Insomma nonostante l’improvvisa caduta del governo Draghi e l’insolita campagna elettorale estiva, Giorgia Meloni e il centrodestra non possono sbagliare il colpo. A questo punto l’unico rischio concreto è rappresentato dalle possibili divisioni interne alla coalizione. Nel primo vertice è stato superato lo scoglio della premiership: il leader del partito più votato indicherà il possibile presidente del Consiglio. La conferma della regola non scritta della coalizione è la prima “vittoria” incassata dalla leader di FdI. Resta il nodo del programma elettorale, su cui si continuerà a discutere nelle prossime settimane. Se sull’abbattimento del cuneo fiscale e sugli incentivi alle aziende che assumono c’è un sostanziale accordo tra i tre partiti principali della coalizione, su altri temi, come l’abolizione o la revisione del reddito di cittadinanza, bisogna ancora trovare la quadra.
La Lega insiste su “quota 41” per le pensioni, Berlusconi vuole portare le minime fino a mille euro. La Meloni invita a non fare promesse che non potranno essere mantenute una volta al governo e rilancia sul posizionamento internazionale dell’Italia, chiedendo di inserire una “clausola pro Ucraina”. Argomento che la Lega, da sempre su posizioni critiche nei confronti delle sanzioni alla Russia, reputa non prioritario. C’è poi il tema dell’immigrazione, le grandi infrastrutture come il ponte sullo stretto, l’ambiente. Insomma sul programma c’è ancora molto da fare per trovare la quadra. Gli avversari politici proveranno a creare divisioni nel centrodestra. Spetterà a Giorgia Meloni, leader de facto della coalizione, il compito di respingere gli attacchi ed evitare passi falsi. Il segreto della vittoria del centrodestra è sempre stato nell’unità. E il voto del prossimo 25 settembre non farà eccezione.