di Fabrizio Cicchitto
A fronte di problemi gravissimi di tutti i tipi, geopolitici, economici, energetici, politico-istituzionali le differenze interne alle due coalizioni fondamentali (quella di centro-sinistra e quella di centro-destra) sono molto rilevanti per cui, altrettanto rilevanti, sono gli interrogativi sulla governabilità futura. Il paradosso è questo: nel migliore dei casi, con un atto di irresponsabilità derivante da mediocri interessi elettorali, nel peggiore per un input di Putin, Conte, Salvini e Berlusconi hanno provocato la caduta di Draghi.
Il paradosso, però, è che Draghi è un ombrello per l'oggi, ma lo sarebbe ancora di più per il futuro. A questo errore derivante dai giochi italiani se ne aggiunge un altro riguardante l'Europa. Avendo visto che Putin e il suo sistema sono una aggressiva realtà dittatoriale con caratteristiche predatorie e cleptocratiche, come poteva pensare l'Unione europea che egli non avrebbe reagito colpendo in modo durissimo sul gas e sul petrolio visto anche che le sanzioni indipendentemente da quello che dicono Salvini e i putinisti italiani lo mettono in grave difficoltà. Su quel nodo Draghi si era espresso con grande anticipo dimostrando di esprimere una leadership politica e tecnica valida sia per l'Italia che per l'Europa. Questa volta la Von der Leyen si è mossa con notevole ritardo.
Ciò detto, passiamo alle coalizioni italiane. Partiamo dal centrodestra che comunque mette in campo una coalizione degna di questa nome, ma essa, però, è profondamente divisa sui fondamentali. La prima divisione è addirittura di carattere geopolitico: da subito Giorgia Meloni ha espresso la sua solidarietà all'Ucraina e si è schierata su una posizione atlantica ed europeista.
Non ci vogliono i servizi segreti per sapere che da sempre Salvini è schierato sul polo opposto: egli ha firmato un patto di unità d'azione fra la Lega e Russia Unita, dai tempi dell'occupazione della Crimea e contro le sanzioni, che adesso ribadisce, aggiungendo al tutto la richiesta di un enorme discostamento di bilancio (30 miliardi) che, considerando il nostro alto debito, ci mette a rischio rispetto alla speculazione internazionale. Da parte sua Berlusconi ha perso l'occasione della sua vita: qualora avesse bloccato Salvini e avesse difeso il governo Draghi egli avrebbe riconquistato la leadership del centrodestra, dato una sponda a Giorgetti e ai governatori leghisti, e riconquistato un grande prestigio internazionale.
Non lo ha fatto, si è schiacciato su Salvini, ha massacrato nelle liste le persone a lui più legate e adesso le sue numerose interviste e quella dell'on. Fascina esperta in difesa, oltre a quelle sempre opache di Tajani, francamente non mordono. Perdipiù sul Covid, che non è affatto finito, né la Meloni né Salvini sono molto attendibili visto quello che hanno fatto nel passato, ma almeno su questo hanno posizioni comuni, mentre Forza Italia si è sempre collocata sua una linea diversa. Insomma il centrodestra anche se formalmente è una coalizione e anche se avrà i numeri è un campo di battaglia per l'esistenza al suo interno di posizioni diametralmente diverse su cose molto importanti.
Se si passa però al centrosinistra la situazione è del tutto imbarazzante: in campo non c'è una proposta comune, ma due programmi, quello del Pd e quello di Fratoianni che su quasi tutti i punti sono agli antipodi: hanno in comune l'antifascismo. Il fatto è che Enrico Letta si è fatto una serie di autogoal. Le scelte logiche e coerenti sarebbero state due: l'unità antifascista da Conte a Fratoianni con dentro anche tutti i centristi o l'aggregazione del polo riformista con Calenda, Bonino e Renzi.
Letta ha cercato una terza via (fuori Conte, fuori Renzi, ma dentro sia Calenda, sia Fratoianni) che non aveva un senso politico compiuto e che Calenda è stato costretto a rifiutare non per tradimento, ma per non suicidarsi. Così Enrico Letta non guida una reale coalizione alternativa, ma un accrocco sbilenco fra riformisti, massimalisti e confusionari (questi costituiscono una bella fetta del Pd) priva di appeal per cui stanno facendo il pieno dei voti su piattaforme incisive proprio le componenti che egli non ha saputo o voluto aggregare e che ha entrambe rifiutato: da un lato il populismo di Conte, dall'altro lato il riformismo, l'atlantismo e europeismo di Italia Viva e Azione.
Su tutto però pesa un interrogativo assai inquietante: nel quadro della "tempesta globale" (Putin, Peskov) Putin darà a Salvini l'input di far saltare tutto provocando l'ingovernabilità dell'Italia o non darà? E nel primo caso che faranno Giorgetti, i presidenti leghisti e un pezzo di piccola impresa del Nord (un altro pezzo ha già capito tutto, ha abbandonato la Lega e si è dislocato o sulla Meloni o su Calenda)? Di qui al 25 settembre e anche dopo ne vedremo delle belle.