di Michele Brambilla
Sfugge ai sondaggisti la clamorosa avanzata del Ppi, che non è un redivivo Partito Popolare italiano, ma il Partito del Passato. O meglio sarebbe dire del Passatismo. Raccoglie consensi trasversali e supera perfino il Pli (Partito del Lamento, con il quale peraltro potrebbe stringere un'alleanza elettorale) e i partiti dell'astensione e degli indecisi. Il programma del Ppi è semplice: com'era tutto più bello, una volta.
E non solo in politica: in tutto. Lo spunto me lo ha dato, domenica, una partita di calcio: e in fondo poche cose come il calcio riflettono il sentimento del popolo. Dunque. Bologna-Fiorentina allo stadio Dall'Ara (quello che si chiamava il Littoriale, venne il Duce a inaugurarlo il 31 ottobre del 1926 e all'angolo fra le vie Indipendenza e Ugo Bassi gli spararono, e gli squadristi – guidati dal padre di Pier Paolo Pasolini – saltarono addosso a un ragazzo e lo linciarono, si chiamava Anteo Zamboni, aveva 15 anni, e chissà se era stato davvero lui a sparare. Ma non divaghiamo). Dunque Bologna-Fiorentina. Siamo sull'1-1 e a un certo punto Arnautovic segna il gol del 2-1 per il Bologna. Ma ci sono dubbi di irregolarità, l'arbitro Orsato va a guardare il Var e convalida solo dopo due-tre minuti. Ed è a quel punto che la curva può esultare. Può gridare gol. Con però l'aggiunta, subito dopo, del classico "soccia ragazzi che due maroni, con il Var non si può neanche più esultare quando vedi la palla in rete. Questa tecnologia ci ha tolto anche la gioia del gol. Ci strozza l'urlo in gola". Ah, i bei tempi in cui senza Var la Roma perdeva lo scudetto per questioni di centimetri. E quando Niccolò Carosio in telecronaca diceva "rete" con lo stesso tono con cui le signorine buonasera annunciavano: va ora in onda.
Il calcio è uno degli ambienti in cui il passatismo è costante come una goccia che cava una pietra. Ad esempio le maglie. "Ma non sarà mica la maglia del Milan quella lì: è verde. E quella della Juve con cinquanta sfumature di grigio? Una volta le maglie erano il segno di un'identità, non cambiavano mai". Ma davvero è così? Mi imbatto per caso in un numero del mensile Inter Club del giugno 1965. Nella pagina della posta il lettore Pietro Perotta protesta con il direttore: "La domanda le sembrerà un po' strana. Ma sono sicuro che in questi ultimi tempi tutti i tifosi se la sono rivolta. Qual è la vera maglia dell'Inter? Perché è stata abbandonata la maglia tutta nerazzurra?". E io che credevo che la vera maglia dell'Inter fosse proprio quella là del 1965, Sarti Burgnich Facchetti.
Il Partito del Passato non è né di destra né di sinistra: è di tutte e due. Di fronte al pericolo Meloni, la sinistra osserva: "Quella è una pesciarola, Almirante era di un altro livello. Un rivale, ma un rivale che rispettava i rivali". E però noi ci ricordiamo i cortei: "Ci piace di più / Almirante a testa in giù". E i camerieri dell'autogrill Cantagallo sulla Bologna-Firenze che si rifiutano di servirlo, il segretario del Msi. Il fucilatore di partigiani, come dicevano quelli che ora lo rimpiangono. E anche la Dc, oh sì, dicono oggi quelli di sinistra, la Dc sì che aveva una classe politica, un senso dello Stato, un'anima popolare. E leader di statura. Come Fanfani, per il quale fu coniato (a sinistra, of course) il termine fanfascismo, o come Andreotti, ribattezzato Belzebù. Della Dc si diceva che aveva orchestrato la strategia della tensione, che si era servita dei fascisti per spaventare il popolo con le bombe, e altri elogi incondizionati di questo tipo. La sinistra ha rivalutato perfino Berlusconi, per vent'anni demonizzato con il Male Assoluto: oggi dicono che, in confronto a Salvini, sembra Cavour (e qui però forse ci siamo anche).
Quanto alla destra, la nostalgia del passato è il suo dna. Il primo e più noto rimpianto del passato è per quando c'era lui. I treni arrivavano in orario. Anche cose buone. (I tribunali speciali, il confino, Matteotti, le leggi razziali e la guerra al fianco di Hitler sono dettagli). Ma oggi a destra si rimpiange anche il vecchio Pci: Peppone sì che era un comunista serio. Eppure proprio il padre di Peppone, Giovannino Guareschi, fece scrivere a Montanelli, sul Candido del 1948, appena prima delle elezioni politiche, una reprimenda contro gli industriali che portavano i soldi in Svizzera proprio perché avevano paura che vincesse quel partito di comunisti seri che stavano con i socialisti nel Fronte Popolare.
Il Partito del Passato è onnipresente. Nella storiografia: la nostalgia per gli anni Sessanta, ultimo periodo di spensierata crescita del nostro Paese, è condivisa da tutti. E però ci sarà pur stato qualcosa che non andava neanche allora, se poi è scoppiato il Sessantotto. E pure del Sessantotto si ha avuta presto tanta nostalgia: lo rimpiangeva il grande Francesco Guccini, nella sua "Eskimo" già nel 1978. "Sarà per aver quindici anni in meno", ammetteva. E c'è nostalgia addirittura nella sua Canzone delle osterie di fuori porta, che è del 1974: "Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta, ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta". E ancora, su Bologna: "Si alza sempre lenta come un tempo l'alba magica in collina. Ma non provo più quando la guardo quello che provavo prima". Oggi i bolognesi dicono: negli anni Settanta sì che c'era vita, e anche negli Ottanta e nei Novanta, le osterie e i ristoranti erano aperti tutta la notte e pieni di gente". Naturalmente le osterie sono aperte anche adesso e Bologna resta una città in cui si vive meravigliosamente bene.
Ah i vecchi medici di famiglia! La sanità di una volta! Una volta, quando a cinquant'anni un maschio era senza denti e piegato dal lavoro in fabbrica o nei campi, e la donna aveva il prolasso dell'utero dopo aver messo al mondo otto o nove figli. Ma non ci sono più neppure quelle belle scopate di una volta, ci fa sapere Barbara Alberti nei suoi "Aforismi sull'amore".
Il Partito del Passato, ingenuo come il Partito delle Sorti magnifiche e progressive (entrambi si fondano sul postulato per il quale il presente è sempre e comunque peggio) c'è sempre stato, ne parlava anche un certo Leopardi, ma mai come in questo periodo, in cui siamo tanto depressi, probabilmente troppo.