Franco Esposito
La paura non è passata. Forse passerà, ma nessuno osa azzardare previsioni temporali. Se e quando passerà, intanto il disastro idrogeologico in Italia presenta il conto. Pesantissimo, inseguito da ombre e fantasmi. Postuma all’alluvione nelle Marche, Senigallia ridotta drammaticamente a immensa piscina: paesi spariti, morti e ricoverati negli ospedali, dispersi. Vite interrotte, distrutte, e i numeri: danni infiniti. Il dissesto italiano è da 51 miliardi in 40 anni, il bilancio è molto più pesante rispetto a Germania e Francia, 12 milioni di italiani vivono in aree a rischio.
Il clima distrugge, ormai lo sanno tutti. Ma nel caso delle Marche nessuno ha parlato. I danni da clima sono purtroppo in forte crescita. Nel 1984 alluvioni e frane costarono all’Italia 87 milioni. “Manca consapevolezza e percezione del rischio”, sentenziano asciutti i metereologi. Anch’essi finiti sotto accusa dopo il disastro di Senigallia e dintorni. “Si sapeva tutto dal 2016, si sapeva che arte e tradizione possono andare felicemente a braccetto”. Ma è ora troppo tardi per lanciare allarmi, gridare con tutta la forza possibile. I danni si possono pure riparare con 7 miliardi di euro l’anno; no, proprio no, le vite umane stroncate o segnate dagli eventi per sempre. Criticato il sistema di allerta, fermo al giallo, il secondo gradino su quattro. Dal cielo color pece sono venuti giù trenta centimetri di pioggia, il quantitativo di tre ore ha pareggiato quello di sei metri Quelli che avrebbero dovuto sono fuori tempo. I temporali che si abbattono sull’Italia, da alcuni anni, appartengono a una sorta di tipologia monsonica. Al pari dei terremoti sono comunque difficili da prevedere.
Le carte raccontano cose scioccanti. C’è scritto di lavori mai fatti, di case e ponti a rischio. Una situazione nota dal 2016. Il progetto della Regina Marche sul fiume Misa mai realizzato. Mancavano i soldi, l’Italia è questa, signori, La burocrazia invincibile e e i ricorsi al tribunale hanno frenato (anzi bloccato) i cantieri avviati. In realtà pochi. Ma ora? Il problema vero è rappresentato dai politici.
Ne avessimo in Italia di seri e responsabili, tra i punti cardini del programma elettorale dovrebbe esserci “la tutela del territorio”. Invece neppure un accenno, il mondo politico conferma la propria immensa sordità. In giro si sentono solo parole che propongono emozione, commozione e falsa partecipazione ai lutti e al disastro.
Carta canta. Il documento del 2016 si chiama “Assetto di progetto media e bassa Valle del fiume Misa”. Le 106 pagine contengono anche la “definizione di misure necessarie ad aumentare il livello di sicurezza idraulica dei territori”, come nella premessa firmata dell’allora segretario generale dell’Autorità di Bacino Regionale, Marcello Principe. “Necessitano interventi strutturali volti alla riduzione della pericolosità e conseguentemente del rischio al fine di salvaguardare e mettere in sicurezza gli insediamenti antropici da futuri e ipotetici eventi alluvionali”.
Purtroppo oggi sappiamo che non c’era nulla di ipotetico, ma molto di futuro. Fatto ora di lacrime e promesse. Ma è troppo tardi per riparare. La politica trova sia meglio tacere. Molto meglio i gesti concreti, il milione dei fratelli Della Valle, la sospensione dei mutui decisa dall’Associazione delle banche, gli slanci dei volontari. E molto meglio pure i megafoni del sindaco di Senigallia che hanno allertato la popolazione e salvato vite umane. Quanto è costato il grido d’allarme del primo cittadino? Non un euro, era tutto a costo zero.
La mappa del dissesto italiano indica in Roma la capitale anche del pericolo. Trecentomila laziali vivono in aree a rischio. Il Paese andrebbe messo in sicurezza subito. Servono 12mila opere e 30 miliardi. Allora, campa cavallo, che tutto crolla. Poco alla volta.