di Anonimo Napoletano
Nel 2049 in Italia i morti saranno il doppio dei nuovi nati: 788mila decessi contro 390mila bambini che vengono al mondo. Una previsione drammatica elaborata dall'Istat che ha diffuso un dettagliato rapporto sulla crisi demografica a cui va incontro il Bel Paese e sugli effetti che determinerà per la nostra società. «Da circa 15 anni l'Italia sta affrontando un ricambio naturale negativo, alla base della riduzione della popolazione, nonostante la parziale contropartita di dinamiche migratorie con l'estero di segno positivo», si legge nel report “Previsioni della popolazione residente e delle famiglie”. Neanche negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli, quello per intenderci che arriva a ipotizzare una crescita del numero medio di figli per donna a 1,88, il numero proiettato di nascite arriverebbe a compensare quello dei decessi, spiega l'Istat.
«Nello scenario mediano, dove si contempla una crescita della fecondità da 1,25 figli per donna attuale a 1,55 nel 2070, il massimo delle nascite conseguito risulterebbe pari a 424mila unità nel 2038. Dopo tale anno, l'ulteriore aumento dei livelli riproduttivi medi non conduce, quindi, a un parallelo aumento dei nati, in quanto le donne in età fertile tenderanno a diminuire nonché a invecchiare in media, riducendo il potenziale riproduttivo del Paese».
L'invecchiamento dell'Italia porterà ad un aumento della mortalità annua, fino a un massimo di 832mila nel 2058 secondo lo scenario mediano. Questo nonostante le buone aspettative sull'evoluzione della speranza di vita che saranno 86,5 e 89,5 anni (rispettivamente per uomini e donne) per coloro che nasceranno nell'anno 2070.
Tutto questo porta a calcolare che la popolazione residente in Italia potrebbe calare dai 59,2 milioni di persone del 2021 a 57,9 milioni nel 2030 (-1,3 milioni) e sopo 50 anni, nel 2071, potrebbero scendere sotto quota 50 milioni, a 47,7 (-11,5 mln).
La questione demografica investe tutto il territorio, pur con differenze tra Centro-nord e Mezzogiorno. Sorprendentemente, sarà proprio il Sud a spopolarsi di più, a differenza di quanto accaduto in passato. Sempre secondo lo scenario mediano, nel breve termine si prospetta nel Nord (-0,9‰ annuo fino al 2030) e nel Centro (-1,6‰) una riduzione della popolazione meno importante rispetto al Mezzogiorno (-5,3‰). Nel periodo intermedio (2030-2050), e ancor più nel lungo termine (2050-2070), nel Nord la riduzione media annua sarebbe dell’1,4‰ e del 4,2‰, contro -6,8 e -10,1‰ nel Sud.
Tutti questi dati vogliono dire una cosa importante: l'Italia sarà sempre più un Paese per vecchi. Si assiste, scrive l'Istat, a una «fase accentuata e prolungata di invecchiamento» con la popolazione over 65 che rappresenta il 23,5% del totale (contro il 12,9% degli under 14 e il 63,6% della popolazione nella fascia 15-64 anni) e un età media che si è avvicinata a 46 anni. Entro il 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare da un minimo del 33% a un massimo del 36,7%. Comunque vadano le cose, l’impatto sulle politiche di protezione sociale sarà importante, dovendo fronteggiare i fabbisogni di una quota crescente di anziani.
Sul piano dei rapporti intergenerazionali, si presenterebbe il tema di un rapporto squilibrato tra ultrasessantacinquenni e ragazzi, in misura di circa tre a uno. A contribuire alla crescita assoluta e relativa della popolazione anziana concorrerà soprattutto il transito delle folte generazioni degli anni del baby boom (nati negli anni '60 e prima metà dei '70) tra le età adulte e senili, con concomitante e repentina riduzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe dal 63,6% (37,7 milioni) al 53,4% (28,9 milioni). Uno scenario con potenziali effetti sul mercato del lavoro, sulla programmazione economica, sul mantenimento del livello di welfare necessario al Paese.
Tra le potenziali trasformazioni demografiche l'Istat evidenzia il marcato processo di invecchiamento del Mezzogiorno. Per quanto il Sud presenti ancora oggi un profilo per età più giovane, l’età media dei suoi residenti potrebbe arrivare a 49,9 anni nel 2040, sopravanzando il Nord che raggiunge un’età media di 49,2 anni.
Il calo demografico nei prossimi dieci anni toccherebbe 4 Comuni italiani su 5 (l'80%), e questo porterebbe a risultati pesanti per i piccoli centri rurali che potrebbero nel complesso registrare una riduzione della popolazione pari al 5,5%, passando da 10,1 a 9,5 milioni di residenti. In tali aree i Comuni con saldo negativo della popolazione sono l’86% del totale. La questione investe soprattutto le aree del Mezzogiorno, dove i Comuni delle zone rurali con bilancio negativo sono il 94% del totale e dove si riscontra una riduzione della popolazione pari all’8,8%. E questo sarà dovuto anche a fattori quali l'emigrazione, fa notare l'Istat.
L'Istituto nazionale di statistica ha anche calcolato l'impatto sulle famiglie. Nel giro di 20 anni i nuclei familiari potrebbero aumentare da 25,3 milioni a 26,3 milioni (+3,8%), ma si tratterà di famiglie sempre più piccole, con il numero medio di componenti che passerebbe da 2,3 persone nel 2021 a 2,1 nel 2041. Sostanzialmente un'esplosione di coppie senza figli e di persone sole: con un incremento del 20,5%, le persone sole diventerebbero circa undici milioni nel 2041 Un fenomeno, spiega l'Istat dovuto a una serie di fattori concomitanti: invecchiamento, calo della natalità, aumento dell'instabilità coniugale. L'aumento della sopravvivenza tra gli anziani, molti dei quali soli, potrebbe comportare un futuro aumento dei fabbisogni di assistenza. Ma con la diminuzione di giovani, chi manterrà economicamente e, poi, assisterà materialmente tutti questi vecchi?