di Silvana Mangione
Da un po' di tempo a questa parte, il mondo, in preda alla paura delle pandemie, dell'inflazione, della povertà, della carestia, degli effetti del cambiamento climatico e delle guerre, aspira a essere guidato da un uomo forte (e, nel recente caso italiano, da una donna forte che chiama se stessa "Il Presidente").
In molti Paesi sono stati eletti al comando uomini che hanno garantito, a parole, ma non sempre nei fatti, la sicurezza e la protezione sociale. Poi, però, l'uomo forte di regime teocratico uccide, per mano della sua "polizia morale", le giovani che protestano perché vogliono andare all'università e non vogliono più infagottarsi nel burka e nascondere i capelli. Bisognerebbe fare uno studio sull'ordine di celare alla vista le chiome femminili, imposto da molte religioni, compresa quella cristiana, per quanto riguarda le suore e, in passato, con la richiesta che le donne entrassero in chiesa con il capo coperto. Ma questa è un'altra storia e ne parleremo un'altra volta. Negli Stati Uniti si sono appena concluse le elezioni che si tengono a metà del mandato presidenziale, cartina di tornasole del gradimento delle politiche portate avanti dal Presidente in carica. Di solito, almeno una delle Camere vede un cambiamento di colore partitico, dal rosso repubblicano al blu democratico o viceversa.
In questa campagna elettorale, l'uomo forte Donald Trump ha scelto lo slogan: "Save America", salva l'America, e ha riscaldato le platee della cosiddetta Cintura della Bibbia, vale a dire gli Stati del Sud, infusi di valori puritani, scatenando la campagna contro l'aborto e chiedendo di dargli una maggioranza bulgara in Parlamento, per approvare una legge nazionale che lo proibisca anche nei casi di stupro, incesto e pericolo di vita della madre. Mentre scriviamo, non si sa se i repubblicani conquisteranno la maggioranza in una o in tutte e due le Camere. I risultati del voto di martedì scorso non sono ancora definitivi e potrebbero non esserlo fino all'inizio di dicembre, se in Georgia il candidato democratico, in leggero vantaggio sul repubblicano, non riuscisse a raggiungere il 50% dei voti, richiesto per non dover procedere al ballottaggio.
Le uniche novità sono le elezioni di Kathy Hochul, prima donna Governatrice dello Stato di New York, e di Maxwell Frost, primo deputato esponente della Generazione Z, in Florida. Non vogliamo commentare qui l'ormai incancrenita opposizione ideologica e culturale fra i due massimi partiti americani. Vorremmo invece accennare ai pro e i contro della protezione della democrazia negli Stati a regime presidenziale, paragonati a quelli a regime parlamentare. Gli italiani si lamentano da sempre del grande numero di Governi che si sono succeduti dal 1946 a oggi.
In Italia, il Governo deve godere della fiducia del Parlamento. Se la perde, va a casa, e viene sostituito da un nuovo Governo, il cui premier può essere scelto, motu proprio, dal Presidente della Repubblica oppure determinato da elezioni anticipate. La continuità dello Stato, in Italia, è assicurata per sette anni dal Presidente della Repubblica, garante della Costituzione, eletto dalle due Camere in assemblea congiunta completata dai rappresentanti delle Regioni e delle Province Autonome. Nella mente dei nostri Padri fondatori, che hanno scritto in due anni di lavoro la più bella Costituzione del mondo, la fiducia delle Camere serve a proteggere il popolo italiano dall'ascesa al potere di un altro uomo forte e da qualsiasi rigurgito di dittatura. Finora Il nostro meccanismo ha funzionato benissimo. Come esempio di Repubblica presidenziale, ovviamente, usiamo quello americano.
Il Presidente, eletto con un sistema bizantino, rimane in carica per quattro anni e può ripresentarsi per un secondo mandato, consecutivo o non consecutivo. Il Presidente cessa dalla carica soltanto in caso di morte, di incapacità fisica o mentale o nel caso in cui l'impeachment si concluda con la condanna. I Padri fondatori della Costituzione degli USA hanno reso molto complicato il procedimento di messa sotto accusa del Presidente. Nella storia americana, soltanto Andrew Johnson (succeduto a Abraham Lincoln), Bill Clinton e, per due volte, Donald Trump hanno subìto l'incriminazione, ma non la condanna e la rimozione. Richard Nixon l'ha evitata dando le dimissioni dopo lo scandalo del Watergate.
Quindi, se il melone è uscito bianco, se un Presidente ha una schiacciante maggioranza all'interno delle due Camere, se la sua sete di potere è irrefrenabile, se tenta di sovvertire la conferma della nomina del suo successore, se si lascia scappare nei suoi rally l'ammirazione per i dittatori di alcuni Paesi, il popolo americano può soltanto scendere in strada a protestare, senza sortire alcun risultato se non quello di scatenare una potenziale guerra civile. L'esempio calzante dell'estremo scenario appena descritto è quello che porta il nome di Vladimir Putin, ormai inamovibile dal suo trono di "piccolo Padre della grande Madre Russia", di resipiscenza zarista. Chi raggiunge il potere in elezioni più o meno democratiche, con maggioranze che gli consentono di modificare la costituzione locale, ha in mano gli strumenti per farsi nominare Presidente a vita, magari anche con il diritto di passare il titolo ai suoi discendenti, come è successo nella Corea del Nord, tanto per citare un caso lampante, al quale ha fatto riferimento più volte anche Trump.
Con invidia? Con desiderio di emulazione? Con convinzione profonda che quello sia il suo destino? Speriamo che non sia vero. Per quanto mi riguarda, proteggiamo il nostro sistema parlamentare. Abbiamo importanti esempi esteri che dovrebbero confortarci della sua validità. In Inghilterra una Premier può decadere dalla carica dopo soli 45 giorni ed essere sostituita pochi giorni dopo dal leader scelto dal suo partito che gode della maggioranza in Parlamento. In Spagna, negli ultimi anni si sono tenute elezioni anticipate molto più spesso che in Italia. Ma, per la nostra inveterata abitudine al disfattismo riassunto nella frase di Bartali: "Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare", l'Italia è l'unica a essere ridicolizzata come politicamente instabile nella narrativa internazionale. Chi è causa del suo mal, pianga se stesso ma, per favore, impedisca il salto nel buio del passaggio a una Repubblica presidenziale italiana.