DI ANTONIO CIANCIULLO
"Da una tonnellata di terra possiamo estrarre 3 grammi d'oro, da una tonnellata di cellulari 300 grammi d'oro". In questa sintesi di Giacomo Vigna, coordinatore del Tavolo materie prime del Mise, c'è il significato di un'espressione che comincia ad affermarsi: miniere urbane. Le nuove miniere sono le aree in cui si concentrano i materiali di scarto provenienti dal circuito urbano, agricolo o industriale. Che si tratti di una risorsa dal valore crescente lo dimostra la dinamica dei prezzi delle terre rare e di materiali come il rame, che associamo a una industrializzazione di tipo tradizionale ma che sono indispensabili anche in quella digitale e smart. La Commissione europea ha individuato 30 materiali critici da cui dipende il nostro futuro: dal litio al tungsteno, dalla bauxite al nickel, dal cobalto alle terre rare. Proiettati nel picco di consumi dei prossimi anni, rischiano di diventare un problema serio, un tappo alla transizione ecologica.
La domanda di molti di questi materiali raddoppierà entro il 2030, trainata dall'uso di monitor, celle fotovoltaiche, telefoni, impianti eolici, auto elettriche, reti cablate. Per alcuni sarà ancora più veloce: ad esempio si prevede che il bisogno di litio crescerà di 35 volte in 8 anni.
Il problema è che questi materiali sono controllati in larga parte dalla Cina. Per l'Europa è una dipendenza pericolosa, che rischia di riproporre quella dai combustibili fossili. Una trappola che può essere evitata mettendo in campo un pacchetto di interventi. Lo ha ricordato Stefano Soro, responsabile della Commissione europea per questo settore all'incontro organizzato dal Circular Economy Network agli Stati generali della green economy, a Rimini.
Gli interventi possibili sono tre. Si potrebbero utilizzare alcuni giacimenti presenti soprattutto nell'Europa del Nord e in Portogallo (facendo i conti con l'impatto ambientale delle miniere). Si può spingere sulla ricerca per trovare materiali alternativi. E soprattutto si possono recuperare queste materie prime dagli oggetti dismessi.
L'Unione Europea ha presentato nel marzo del 2020 un aggiornamento del Piano per l'economia circolare del 2015. A che punto siamo? L'attenzione si è concentrata in alcuni settori. Per le batterie ad esempio è in discussione un regolamento europeo che mira a una serie di obiettivi: rendere obbligatoria la pubblicazione dell'"impronta del carbonio" per alcuni tipi di batterie; introdurre obiettivi minimi di raccolta e reimpiego di materiale riciclato; vietare incenerimento e discarica delle batterie.
Bisogna spingere sul pedale dell'economia circolare perché le difficoltà di ripartenza dell'economia globale dopo lo stop legato al Covid, sommate a quelle prodotte dalla guerra in Ucraina, stanno moltiplicando i problemi. Ormai per creare beni e servizi vengono consumati ogni anno oltre 100 miliardi di tonnellate di materie prime (erano 27 miliardi nel 1970) e più della metà di questa enorme massa di materiali è impiegata per creare prodotti di breve durata.
Una spinta al cambiamento verrà dal Pnrr che ha messo a disposizione dell'economia circolare 2,1 miliardi di euro. E da tre proposte contenute nella Strategia nazionale per l'economia circolare: rafforzare il credito di imposta Transizione 4.0 a sostegno degli investimenti per l'economia circolare; estendere gli incentivi fiscali per l'utilizzo di materiali riciclati; incentivare la raccolta differenziata e il riciclo disincentivando lo smaltimento in discarica, in modo da fare pagare meno cittadini e Comuni virtuosi.
"L'Italia occupa una buona posizione in Europa sul fronte dell'economia circolare, ma le sue performance non le consentono al momento di raggiungere gli obiettivi che il quadro economico attuale, con la forte crescita dei prezzi delle materie prime e l'incertezza delle forniture, richiede", ricorda Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network. "Occorre accelerare il disaccoppiamento della crescita economica dal consumo di materie prime vergini, che è l'obiettivo strategico dell'economia circolare e del Green Deal europeo. La conversione verso modelli di produzione e di consumo circolari è sempre più una necessità non solo per garantire la sostenibilità dal punto di vista ecologico, ma per la solidità della ripresa economica, la stabilità dello sviluppo e la competitività delle imprese"