Franco Esposito
Nuove testimonianze squarciano la spessa coltre di nebbia. Emergono verità sconosciute fino ad ieri. Vengono fuori all’udienza clou del processo, a distanza di trentadue anni dalla morte di Emanuele Scerni. Il parà siciliano scomparso all’età di ventisei anni nella caserma di Camera. Meglio conosciuta come la “caserma del terrore”. Pare succedesse di tutto all’interno di quelle mura, e non solo disgustose inammissibili manifestazioni di nonnismo.
Il processo mette alla sbarra due ex caporali accusati dell’omcidio volontario del parà Emanuele Scerni. Allievo della Folgore, viene trovato morto il 16 agosto 1999 nella caserma di Camera di Pisa, ai piedi di una tordure di asciugatura dei paracadutisti. La morte risale a tre giorni prima. Il caso viene archiviato come suicidio. L’ex caporale Alessandro Panella viene poi arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Indagati anche gli ex caporali Antonio Antico e Luigi Zabana. E per favoreggiamento l’ex comandante Enrico Celentano e l’ex aiutante maggiore Salvatore Romandia.
Nel 2021, con il solo rito abbreviato vengono rinviati a giudizio Antico, Celentano, Panella e Zabana. Per loro l’accusa sostiene questa tesi: i commilitoni, dopo aver fatto spogliare e picchiato Scerni, lo avrebbero obbligato a salire sulla torre e poi avrebbero fatto pressione sulle nocche della dita provocandone la caduta. Avrebbero inoltre costretto l’ex caporale Alessandro Meucci a fare flessioni “e a respirare sostanze chimiche, dovevo stare sveglio di notte”. L’ex caporale ha deposto al processo sul nonnismo in caserma e la morte di Emanuele Scerni.
Nove ore di udienza, quattro dedicate appunto ai temi sopra evidenziati. “Quella notte li vidi agitati, i due caporali. Uno di loro disse: l’abbiamo fatta grossa. Ero spaventato”, ha dichiarato sotto giuramento l’ex caporale Alesssadro Meucci. Il racconto della tragedia di ventitrè anni fa, sulla quale la famigia Scerni chiede verità e giustizia. “Quella notte – ha confermato Meucci – vidi gli ex commilitoni Alessandro Panella e Luigi Zabana sudati, agitati. Il primo disse l’abbiamo fatta grossa e mi minacciò di morte”.
Panella e Zabana sono sotto processo.
La Procura di Pisa ha riaperto il caso e le indagini in seguito ai risultati della commissione parlamentare d’inchiesta. Secondo l’accusa, i tre costrinsero Scerni a salire sulla torretta di asciugatura dei paracatudisti e lo fecero cadere per le botte, abbandonandolo senza prestare il minimo soccorso. Meucci era di piantone la notte fra i 13 e il 14 agosto. “Mi avvicinai per chiedere loro se fosse tutto a posto. Panella mi rispose: fatti i cazzi tuoi sennò ti ammazzo”.
La testimonianza è nel cuore della lunga audizione davanti alla Corte d’assise. Punto di partenza la ricostruzione degli atti subiti. I ricordi sono diventati però più faticosi con il crescere delle domande e il trascorrere delle ore. “Ho un vuoto di memoria”, si è bloccato ad un certo punto lex caporale Meucci, ripiegaore di paracadute nella terza compagnia. Fu trasferito da Sora a Pisa. “Chi arrivava dalla fanteria era considerato inferiore, l’accoglienza era pessima. Venivo brutalizzato”.
Ma perché ha aspettato tanto tempo prima di denunciare? “Ti prendevano di mira, c’era una sorta di mafia, erano tutti d’accordo”. Meucci confessa di aver vissuto momenti di grande debolezza, sforzandosi di nascondere il disagio momentaneo di una condizione di inferiorità che diventava arma nelle mani dei cosiddetti anziani. “Più mi vedevano debole più esageravano”. Un racconto que e là drammatico, decisamente indicativo dell’atmosfera e delle angherie all’interno della caserma di Camera. Nel 2018 Meucci dichiarò di aver sentito dire a Zabana a uno dei due ‘stavolta hai esagerato”.
Il sostituto procuratore Sisto Restuccia ha proseguito il suo lavoro rammentando altre deposizioni. Meucci ammette di essersi impaurito. E quando il 16 agosto fu rinvenuto il corpo esanime di Scerni ebbe paura. “Ho passato un periodo terribile, ho pensato anche di farmi del male. Terrorizzato, temevo che succedesse qualcosa anche a me”. Come reazione decise di partire per il Nord con la fidanzata. Disertore per quattro giorni. “Me ne andai il diciannove agosto, dopo essermi consultato con la mia ragazza che si rivolse ai carabinieri”.
Nella caserma dominava il terrore. Il disertore momentaneo Alessandro Meucci intese evitare le conseguenze penali previste per chi è in servizio e non rientra in caserma. “Mi recai dai carabinieri”. La domanda chiave gli viene rivolta dal sostituto Sisto Restuccia e dal procuratore Alessandro Crini, è sempre la stessa. Ripetitiva: perché non raccontò che conosceva dettagli sulla fine di Scerni? La risposta non aggiunge nulla alle rivelazioni importanti rese in apertura di dibattito. “Ero concentrato su quanto avevo passato”.
Il processo prosegue. La difesa dei due imputati ha posto ripetute osservazioni in ordine alla posizione e alle accuse a carico di Alessandro Panella e Luigi Zabana, questi spesso presente in aula. I legali puntano su “alcune dimenticanze del testimone Meucci. Oggi è prevista un’altra lunga udienza in un clima di tensione tagliabile con un coltello. Fremono nell’attesa i familiari del povero Scerni, per ora vittima ancora presunta di commilitoni fuori di testa trasformati in biechi assassini. La verità sembra però meno lontana, a ventidue anni dal fatto di sangue nella caserma del terrore.